Si intitola Guida romantica a posti perduti il nuovo film di Giorgia Farina, che torna alla regia a cinque anni da Ho ucciso Napoleone e a otto da Amiche da morire. Continuando a raccontare delle sfaccettature dell’animo femminile, la regista si concentra questa volta più sul disagio, intimo e sofferente, che sui toni comici, leggeri ma grotteschi delle precedenti storie, scegliendo Jasmine Trinca come protagonista e mettendole accanto un Clive Owen un po’ stropicciato ma comunque affascinante.
Benno è un giornalista tv trasferitosi in Italia, convive con una forma grave di alcolismo, che nasconde con mille bugie e accorgimenti alla moglie infermiera (Irène Jacob). Nel suo stesso condominio, al piano di sotto, vive Allegra, travel blogger che, paradossalmente, ha paura di uscire di casa ed ha una fervida immaginazione. Vive una storia un po’ sbilenca con il giovanissimo Michele (Andrea Carpenzano) a cui mente sulla sua paura. Benno e Allegra si incontrano per caso, e partono insieme per un viaggio, su una vecchia Volkswagen azzurra, in cui sperano di ritrovare se stessi dietro alle loro bugie, facendo tappa in luoghi abbandonati ma in qualche modo significativi, romantici, come dice il titolo del film.
Guida romantica a posti perduti in GdA 2020
Presentato alle Giornate degli Autori nell’ambito di Venezia 77, Guida romantica a posti perduti è un road movie in pieno stile, con una coppia di protagonisti buffamente assortita e un andamento incerto, proprio come quello di Benno e Allegra. La storia vorrebbe adottare uno sguardo profondo e introspettivo sul disagio dei due protagonisti, eppure risulta sempre superficiale, ma davvero emozionante, tutto troppo poco approfondito per risultare in qualche modo credibile.
Owen e Trinca sono ottimi attori, ma questa volta non sembrano sostenuti a dovere da una sceneggiatura che non lascia i due personaggi esprimersi come potrebbero. Il ritmo è ondivago, la sceneggiatura procede per episodi slegati ma soprattutto ogni tentativo di introspezione si scontra con dialoghi superficiali e sciatti, che non rendono giustizia né agli attori né alle intenzioni nobili della regista.
Uno sguardo superficiale per quanto bene intenzionato
Le due solitudini si
incontrano in un finale musicale che dovrebbe essere liberatorio,
in cui i due dovrebbero finalmente entrare in contatto con se
stessi e con chi hanno di fronte, ma sembra tutto inutile, la regia
non affonda il coltello nel cuore della storia, e Benno e Allegra
rimangono due figurine a bordo di una Volkswagen azzurra, che
non hanno niente in comune e che non riescono a guarirsi.
Sembra interessante però sottolineare quanto siano meglio riusciti, magari anche involontariamente, i due comprimari, Carpenzano e Jacob, il primo che conferma il suo carisma e la sua faccia da schiaffi venata di una dolcezza infinita, la seconda che anche nelle sue poche pose sfodera l’eleganza da fuoriclasse che la regista non riesce a cavare dai suoi protagonisti.