Halloween Kills, recensione del film con Jamie Lee Curtis

Halloween Kills recensione

Ennesimo tassello della nota saga sorta nell’anno 1978 e all’epoca diretta dal gran John Carpenter, Halloween Kills viene presentato fuori concorso alla 78esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica a Venezia. La storia non tiene per nulla conto di tutti i sequel che sono usciti dal ’78 in poi, ma solo di quello del 2018, che ne era immediata continuazione e dal quale prosegue senza soluzione di continuità.

 

Ancora con la regia di David Gordon Green, tre anni fa avevamo lasciato il nostro noto tagliagole Michael Myers intrappolato nel seminterrato di Laurie (Jamie Lee Curtis), che pareva essere spacciato, ma il cui respiro affannato lasciava dedurre che le cose non fossero proprio così semplici. E infatti avevamo ragione.

Halloween Kills, la trama

Il racconto inizia con la spiacevole sorpresa di un’intensa e serrata ripresa dei giochi, dove troviamo Laurie insieme alla figlia Karen (Judy Greer) e alla nipote Allyson (Andi Matichak) che stanno compiendo una sfrenata corsa a bordo di un pick-up verso l’ospedale per ricucire l’addome della protagonista che il killer ha tentato più volte di perforare fatalmente. Ma la faccenda si mette ovviamente male: Michael Myers affetta tutti, scappa e ricomincia tutto daccapo.

Il sottogenere slasher, facente parte della categoria horror, è stato praticamente inaugurato da John Carpenter proprio con questo lungometraggio. In realtà la principale derivazione dello stile sarebbe Psyco di sir Alfred Hitchcock ma, ad ogni modo, le principali delineazioni che ne sono conseguite si son sviluppate tutte dagli anni 80 in poi, e hanno generato tutti quei film in cui il cattivo trucida più gente che può ed è tendenzialmente mascherato o dal volto sfigurato. Ma l’aspetto che per certi versi sfiora il tragicomico, è tutto quello per cui è necessario applicare la sospensione dell’incredulità. Perché ce ne sarebbe da vendere, d’incredulità.

Il ritorno (di nuovo) di Michael Myers

Michael Myers, così come tutti quei tremendi Uomini Neri che braccano e massacrano senza pietà, è la personificazione di quel che si definisce l’archetipo dell’ombra, o, in altri termini, tutto quel che dentro e fuori di noi è rappresentazione dei nostri peggiori incubi, in qualunque forma si possano manifestare.

È chiaro che Halloween Kills sia sostanzialmente un sollazzo da serate goliardiche a base di grida, risate casalinghe, pop-corn, e cuscini per ripararsi gli occhi. Ma è altrettanto vero che c’è un motivo molto più profondo di quel che sembra se, nonostante ci terrorizzi, sia così magnetico.

Halloween KillsDavid Gordon Green gestisce e organizza in maniera molto organica il lento peregrinare del killer. Lo fa con una maggiore scorrevolezza rispetto al precedente: sia rispetto ai singoli agguati con corrispondenti efferati omicidi, che per quanto concerne la narrazione, con il montaggio parallelo dell’ospedale in cui Laurie è ricoverata e fa parzialmente da controcampo, spiegando le dinamiche della psicologia di Michael.

Ma il punto fondamentalmente resta sempre lo stesso, per quanto possa essere motivato e pianificato da trame più o meno originali: Michael Myers è invincibile perché in caso contrario verrebbe meno il senso rappresentativo di questo genere di film.

Se è vero che ad un certo punto diventa snervante pensare di aver davanti un personaggio che, stando al patto stabilito col pubblico, è un essere umano ma che comunque seguita a rialzarsi dopo qualunque tipo di mazzata, d’altra parte è altrettanto vero che, invece, venga da pensare che possa andare esattamente così.

Paure universali

In fondo, è proprio quella la realizzazione delle nostre paure più grandi: il fatto che mai saranno dissipate, che mai ci sarà la luce e che, presto o tardi, ci staneranno e sarà la fine. Halloween Kills è un prodotto che funziona perché fa da specchio a qualcosa che si teme universalmente, ad ogni latitudine.

E un punto sul quale David Gordon Green mette l’accento è che il capro espiatorio si pensa sempre che sia la soluzione ai mali del mondo, ma non è affatto così, al contrario. È la solidarietà che fa la forza, soprattutto quando per diventare dei mostri terribili è sufficiente voler uccidere qualcuno, anche se si tratta del cattivo. Perché non c’è nessuno che sia veramente cattivo. O forse sì.

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Samanta De Santis
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