Il mondo di Arthur Newman: recensione del film con Colin Firth

Il mondo di Arthur Newman recensione film

Il mondo di Arthur Newman l’esordio alla regia del giovane Dante Ariola, apprezzato autore di spot pubblicitari, si presenta come una più che ordinaria commedia romantica, condita di tutti i crismi del genere, senza lesinare in fatto di luoghi comuni e di situazioni da puro manuale rosa.

 

In Il mondo di Arthur Newman insoddisfatto della propria vita, del proprio lavoro e con alle spalle un divorzio e un difficile rapporto col figlio, Wallace Avery decide di dare un taglio col passato. Dopo aver inscenato la propria scomparsa, acquista la nuova identità di Arthur Newman, brillante golfista che incarna il suo alter ego ideale. Ma l’incontro fortuito con la giovane tossica Michaela Fitzerland, anche lei sotto falsa identità, farà nascere nell’uomo l’impulso di ritornare sulla propria strada per affrontare le proprie responsabilità.

Il mondo di Arthur Newman, il film

Il mondo di Arthur Newman recensione

Affidandosi totalmente ad una sceneggiatura scritta più di vent’anni fa da Becky Johston, qui lontana anni luce dalla purezza di Sette anni in Tibet, che risente indubbiamente del peso del tempo, Ariola confeziona un prodotto che, seppur godibile a livello di intrattenimento, non può nascondere alcune gravissime pecche di forma e di stile, confermando come il regista risenta della fantomatica crisi da opera prima. Innanzitutto non vi è un sufficiente approfondimento psicologico dei due personaggi principali, i quali vengono presentati come semplici manichini mossi da motivazioni posticce, all’interno di un quadro narrativo in cui i fatti e gli avvenimenti semplicemente accadono senza dare il tempo allo spettatore di digerirli e di capirne a fondo le dinamiche.

Come se non bastasse poi, il film si presenta pieno zeppo di riferimenti metacinematografici e narrativi più che evidenti, occhieggiando più volte senza vergogna a Il fu Mattia Pascal di Pirandello e citando in maniera inquietante Ferro 3, proponendo la figura dei due protagonisti impegnati ad intrufolarsi nelle abitazioni altrui. A salvare il tutto ci pensano fortunatamente le interpretazioni più che soddisfacenti dei due protagonisti, a cominciare da sir Colin Firth, che riesce a dar vita in maniera perfetta alla personalità semplice, pura e sincera di Arthur / Wallace, ponendo l’accento sulla riflessione riguardo al tema dell’identità (peraltro già affrontata in L’importanza di chiamarsi Ernest). Ciò che salta però all’occhio è il fatto che ultimamente l’attore appare sclerotizzato, sia fisicamente che a livello prestazionale, all’interno di un modello di personaggio che, dopo A Single Man, pare averlo ingabbiato definitivamente. Allo stesso modo risulta ammirabile e genuina l’interpretazione di Emily Blunt, bravissima nel conferire al personaggio di Michaela / Charlotte una gustosa vena di follia e di erotismo (peraltro in alcune scene abbastanza spinto).

Di sicuro ammirabile l’intento di Ariola, ma ciò non toglie il fatto che il tutto, nelle mani forse di un regista più esperto e con una sceneggiatura di maggiore freschezza, avrebbe potuto dar vita ad un universo del tutto differente. Rimane comunque innegabile come il tema predominate, ovvero l’identità morale e fisica di un individuo, divenga la struttura portante del mondo del protagonista, ovvero Il mondo di Arthur Newman, e che esso venga qui affrontato con intelligenza e profondità.

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Matteo Vergani
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Matteo Vergani
Laureato in Linguaggi dei Media all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, studiato regia a indirizzo horror e fantasy presso l'Accademia di Cinema e Televisione Griffith di Roma. Appassionato del cinema di genere e delle forme sperimentali, sviluppa un grande interesse per le pratiche di restauro audiovisivo, per il cinema muto e le correnti surrealiste, oltre che per la storia del cinema, della radio e della televisione.
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