Un esordio deciso, convincente quello
di Fabio Mollo alla regia di un lungometraggio,
Il Sud è niente, già apprezzato dal
pubblico e dalla critica al Festival di Toronto e accolto con
favore anche nei successivi passaggi festivalieri, a Roma e a
Torino. Un film efficace per la capacità di andare al cuore della
vicenda raccontata, soffermandosi sullo spessore psicologico dei
personaggi e sul tormento dell’anima che li caratterizza. Ma
persuasivo anche per l’abilità di ritrarre in profondità una terra
per certi versi maledetta, abbandonata e segnata dai crimini
mafiosi, per loro stessa natura taciuti e occultati dai più. Si
tratta della Calabria e, in particolare di Reggio Calabria: ovvero
quella zona liminare, ai margini della Penisola, non soltanto da un
punto di vista geografico bensì, soprattutto, economico e
culturale. “Se le cose non le dici, non ti possono fare male”
afferma la nonna (Alessandra Costanzo) di Grazia
(Miriam Karlkvist), quest’ultima giovane
protagonista della storia: parole forti, pronunciate con un senso
di consapevole e tragica rassegnazione; e ben presto seguite
da una ancor più straziante verità: “Il Sud è niente e niente
succede”, quasi a ribadire l’impotenza del punto di vista
anagraficamente più maturo, su quello invece potenzialmente
terapeutico della gioventù – di quella ideologicamente e moralmente
sana – per quanto ancora troppo ingenuo e acerbo. Ed è proprio il
personaggio di Grazia a rappresentarlo e a farsi promotrice, dietro
un portamento, estetico e caratteriale, mascolino, del vero contro
il falso, del coraggio contro l’omertà, dell’energia contro la
debolezza: attraverso un percorso di crescita complesso e doloroso,
degno del tipico romanzo di formazione. La giovane ha infatti un
rapporto problematico e freddo con il padre, Cristiano
(Vincio Marchioni), un pescatore alle prese con la
realtà malavitosa e che evita in tutti modi di parlare alla figlia
di quanto accaduto diversi anni prima: la morte di Pietro
(Giorgio Musumeci), fratello maggiore di Grazia,
scomparso in circostanze mai chiarite. Un’assenza destinata a
scavare un vuoto irreparabile nella famiglia e, soprattutto, nella
protagonista, per la quale diventa un costante motore di
riflessione e di azione: laddove per agire si intende la
ricerca estenuante di qualche risposta che possa, finalmente,
considerarsi autentica.
Un dramma costruito sui volti, sul sentire e sull’espressione, più che sulle parole; e accompagnato dalle musiche di Giorgio Giampà, evocative del “non detto” che caratterizza il substrato della narrazione, e descrittive di quella malinconia, dell’angoscia e della frustrazione che, inevitabilmente, ne deriva.