Il vizio della speranza: recensione del film di Edoardo De Angelis

Il vizio della speranza

Dopo tre lungometraggi, tutti girati nelle periferie della Campania e nei suoi angoli più disperati, la coerenza di Edoardo De Angelis inizia a farsi vedere, e Il vizio della speranza contribuisce a rendere evidente il percorso di un regista che sa come raccontare storie inverosimili ambientate in contesti realistici con sguardo originale, affamato di carne e polvere, di bellezza e degrado. Stavolta abbandonando l’immaginario fantastico che aveva caratterizzato Indivisibili e abbracciando la simbologia cristiana in chiave contemporanea: Maria è il miracolo della nascita, come l’Immacolata concezione, e incubatrice dell’umanità stessa racchiusa nei luoghi dimenticati da Dio. In questo caso, il fazzoletto di spiaggia e la palude che circondano Castel Volturno.

 

Ne Il vizio della speranza la fine del mondo ha il nome e l’aspetto di Castel Volturno, un comune della provincia di Caserta sepolto da cumuli di spazzatura, strade deserte e prostituzione. Qui comanda la mafia, con i suoi traffici illeciti di bambini, e vive Maria, figlia dell’assenza della madre e del luogo, che ogni giorno traghetta da una parte all’altra le povere anime delle donne con in grembo la vita, e non c’è sogno o possibilità di fuga in questo purgatorio terrestre: semplicemente si gira a vuoto aspettando che sorga e tramonti il sole (ma nemmeno la luce riesce a filtrare per quante nubi affollano il cielo), in un circolo “viziato”, terrificante, dove ogni gesto suggerisce miseria e morte. L’unico tocco di colore è dato dall’insegna rossa luminosa che delimita il confine tra il mondo reale e l’universo sospeso sul fiume Volturno; culla della criminalità e tomba dei silenzi.

De Angelis si mette alle (e sopra le) spalle della protagonista, interpretata da Pina Turco, e la insegue instancabilmente lungo tutto il film, con carrellate dense di dolore e riprese che lasciano il segno; sulla pelle di chi questa esperienza la vive dentro lo schermo e di chi la riceve impassibile, senza avere la forza di reagire. Ma se ci fosse stata una maggiore corrispondenza tra le meravigliose trovate della messa in scena e le intenzioni della sceneggiatura, Il vizio della speranza avrebbe rappresentato qualcosa di unico nel panorama cinematografico italiano (così come lo era stato in parte Indivisibili) e universale, anche rifiutandone l’accezione negativa del termine.

Il vizio della speranza, il trailer

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