Inside Out 2: recensione del sequel Pixar

Gioia, Disgusto, Tristezza, Paura e Rabbia devono far posto a Timidezza, Invidia, Ennui (la noia) e soprattutto Ansia per affrontare il mostro della Pubertà.

-

Come si eguaglia o si supera un mito? Qual è la strada giusta per riproporre ai consumatori qualcosa che avevano amato tanto e di cui forse sentono la mancanza? La risposta è il caro (e rassicurante) “more of the same”, ovvero “più dello stesso”, una sorta di rinforzino di quel piatto che ci era piaciuto tanto che, nel tempo, magari si è raffreddato e ha perso alcuni sapori esaltandone altri. Fuor di metafora culinaria, Inside Out 2, al cinema dal 19 giugno con The Walt Disney Company Italia, è esattamente questo, un bis del primo film del 2015, un nuovo assaggio di quel mondo che da una parte si impoverisce perché perde tutta la ventata di novità e di idee che avevano fatto da motore al primo film, premiato con Oscar e Golden Globe, ma dall’altra si arricchisce di piccole sfumature, e soprattutto di personaggi nuovi e irresistibili.

 

Inside Out 2, la trama

Riley ha compiuto 13 anni, la sua vita sta per essere travolta dal mostro della Pubertà. Ne sono completamente ignari Gioia, Disgusto, Tristezza, Paura e Rabbia, che nella sua mente avevano appena imparato a cooperare e a gestire la grande consolle che avevamo visto strutturarsi alla fine del primo film. In una notte turbolenta, nella sala di comando della mente di Riley, cominciano i lavori di ristrutturazione: gli operai distruggono tutto, mentre arrivano, con tanto di bagagli, quattro nuove emozioni. Timidezza, Invidia, Ennui (la noia) e soprattutto Ansia si presentano con entusiasmo ai cinque occupanti della postazione e cominciano a intervenire nella gestione della vita di Riley, fino a compiere un vero e proprio colpo di stato, assumendo il controllo totale della consolle. Riusciranno Gioia e i suoi a recuperare la loro posizione?

- Pubblicità -
 
 

Diretto dall’entusiasta Kelsey Mann e prodotto da Mark Nielsen, con la supervisione di Pete Docter, Inside Out 2 ripropone 1:1 la stessa struttura del primo film, arricchendolo di personaggi/emozioni che per forza di cose moltiplicano la possibilità di costruzioni di gag, siparietti e ovviamente reazioni di Riley che comincia a sperimentare una maggiore complessità nella formazione di pensieri e decisioni.

La mente come struttura organizzata

Come nel primo film, la mente di Riley è un meccanismo perfetto che funziona secondo regole e strutture meccaniche e consequenziali, un modo di razionalizzare in maniera leggibile e comprensibile dei circuiti che non hanno assolutamente nulla di logico o razionale, e che appartengono all’universo emotivo di ognuno di noi, appunto le emozioni.

Quindi, scesi a patti con questa contraddizione e compreso che si tratta di un espediente narrativo fondamentale alla base dell’idea, si può effettivamente confermare che Inside Out 2 è una versione XL del primo film: ne replica la struttura, la “missione” di salvataggio, il conflitto tra le emozioni che rispecchia un cambiamento nella vita della protagonista, il momento commozione.

L’Era dell’Ansia

Ma allora cosa ha di speciale, se ha qualcosa di speciale, questo sequel? Sicuramente il più grande pregio del film è che riesce a catturare la spirito del tempo raccontando (razionalizzando ancora una volta) quello che è considerato uno dei mali della nostra contemporaneità e che affligge moltissimi adolescenti ma anche adulti. Inside Out 2 è il regno di Ansia. La nuova emozione che prevarica Gioia e gli altri è senza dubbio la regina incontrastata dell’adolescenza (insieme a Ennui, s’intende!) Soprattutto in un periodo storico in cui la salute mentale comincia finalmente ad avere un posto di primaria importanza nella narrazione umana.

La rappresentazione dell’attacco d’ansia, per quanto concettualmente fuorviante perché razionalizzato, è il riconoscimento di un fenomeno diffuso, pericoloso e che deve essere raccontato per essere gestito e normalizzato. E Pixar sceglie di farlo in un contesto che viene fruito da un pubblico 0-100 sfruttando al meglio il suo potere comunicativo. In questo senso, Inside Out 2 compie il suo dovere sociale in maniera egregia anche se vagamente didattica. Sono lontani i tempi in cui il “messaggio” veniva comunicato attraverso la metafora, e l’animazione è la vittima prediletta dei narratori che vogliono esprimere le loro tesi attraverso le storie, ormai da diverso tempo a questa parte (vedi Luca e Red).

La meraviglia travolgente dei colori, del doppiaggio eccellente (in originale e in italiano), delle musiche, del divertimento e dell’emozione di Inside Out 2 ne fanno un buon film per famiglie, tuttavia la confezione a tesi segnala anche un problema serio della narrazione contemporanea: potrebbe essere arrivato il momento, da spettatori, di pretendere storie meno didattiche che possano offrirsi a più livelli di lettura e mantengano allenato il nostro spirito critico.

Sommario

Inside Out 2 è un buon film per famiglie, tuttavia la confezione a tesi segnala anche un problema serio della narrazione contemporanea.
Chiara Guida
Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice di Cinefilos.it, lavora come direttore della testata da quando è stata fondata, nel 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.

ALTRE STORIE

Inside Out 2 è un buon film per famiglie, tuttavia la confezione a tesi segnala anche un problema serio della narrazione contemporanea.Inside Out 2: recensione del sequel Pixar