È passato da poco l’80° anniversario del D-Day, di quello sbarco in Normandia avvenuto il 6 giugno 1944 e che molti film hanno raccontato, da Il giorno più lungo a Salvate il soldato Ryan, anche se quasi sempre dal punto di vista bellico. Anche per questo merita considerazione – e una visione – il Fuga in Normandia diretto da Oliver Parker, presentato al Festival di Bari e nei cinema dal 20 giugno, distribuito da Lucky Red.
E non solo per l’interpretazione di due protagonisti come i premi Oscar Michael Caine e Glenda Jackson, ma per il fatto di raccontare la storia vera (per quanto drammatizzata) dell’allora 89enne Bernard Jordan, veterano della Seconda Guerra Mondiale, irresistibile quanto irrefrenabile.
The Great Escaper – Fuga in Normandia
Nella realtà, il vero Bernie non dovette scappare dalla residenza dove viveva con la moglie René (la The Pines Care & Nursing Home di Hove) come è costretto a fare il personaggio interpretato da Michael Caine, protagonista di una “grande fuga” che lo rende famoso in tutto il Regno Unico come #thegreatescaper e che nasce dal suo desiderio di partecipare alle celebrazioni per il 70° anniversario dello sbarco in Normandia in programma in Francia. Persa la possibilità di unirsi al gruppo organizzato dalla stessa struttura, il determinato Bernie decide di scappare da solo per unirsi ad altri veterani di guerra e commemorare i compagni caduti. Ma nel mondo connesso e impiccione di oggi, è pressoché impossibile passare inosservati, e mentre l’anziano avanza nella sua missione, incontrando nuovi amici molto diversi tra loro (e da lui), la notizia fa il giro del mondo e l’ex combattente finisce in prima pagina. Ma in prima pagina, viene raccontata solo una parte della storia…
Una storia emozionante, e tanti ricordi
Vista l’onda emotiva suscitata all’epoca dalla storia del viaggio in solitaria del vecchietto inglese verso la Francia, sarebbe bastato forse farne un mero racconto, ma non si sarebbe scelto Oliver Parker (Othello, L’importanza di chiamarsi Ernest, St. Trinian’s, Dorian Gray) per portarla sullo schermo. Da subito, infatti, l’operazione alla base del film si è colorita di una forte impronta nostalgica, per i ricordi del regista (il cui padre era stato un giovane capitano in Birmania e aveva perso due fratelli che prestavano servizio nella RAF) e dello sceneggiatore William Ivory (figlio di un aviatore e fratello di un caduto in combattimento), oltre all’immedesimazione del “vecchio Cockney” Caine con lo stesso protagonista “gettato sotto i riflettori dei media”.
Una ‘chiamata alle armi’ vera e propria, che non poteva non sortire effetto, soprattutto considerata la quantità di carisma messa in campo dalla coppia Jackson-Caine, che inevitabilmente catalizza l’attenzione dello spettatore, dando profondità a una storia in sé non particolarmente articolata o sorprendente, ma perfetta per un ‘feelgood’ movie, come non è peregrino definire questo. Che per buona parte – soprattutto all’inizio – vive degli sguardi del 91enne decano, ben accompagnati e sottolineati da una musica sapiente.
L’addio a Glenda Jackson e Michael Caine
La fatica di ogni passo, la paura di un ostacolo insormontabile, la tentazione di abbandonare prima della meta, l’umanità che nasce da una dolorosa lezione imparata o la dignità e la forza di sapere scegliere l’importante rispetto al dovuto sono gli elementi che più coinvolgono, probabilmente, più della naturale curiosità per la vera sorpresa che il film riserva allo spettatore o del piacere di ammirare quella che potrebbe essere l’ultima apparizione di Caine, e che lo sarà sicuramente per la sua compagna d’avventura, due volte Premio Oscar, purtroppo scomparsa prima dell’uscita del film. Al quale concediamo volentieri una mezza stellina in più per i tanti e diversi momenti commoventi, soprattutto quelli meno scontati o prevedibili.