Dopo gli investigatori e le spie, Guy Ritchie si dedica ai re leggendari e porta al cinema, in Italia dal 10 maggio, King Arthur – Il Potere della Spada, rivisitazione del mito di Re Artù interpretato da Charlie Hunnam, il Jax di Sons of Anarchy.
L’origine di King Arthur – Il Potere della Spada
Liberamente ispirato a La morte di Artù di Thomas Mallory, il film doveva intitolarsi inizialmente Knights of the Roundtable: King Arthur, ma probabilmente alla luce dei fatti raccontati il titolo del film è stato modificato in King Arthur: Legend of the Sword. La storia prevede tutti gli elementi (o quasi) della leggenda tradizionale: la stirpe dei Pendragon, l’erede, la spada Excalibur, Re Uther e la magia; tuttavia i componenti della storia vengono mescolati e riposizionati, rivelando un racconto completamente diverso che dal fantasy sfocia nell’action, passando per i toni della commedia e dell’epica, adattandosi alla perfezione allo stile del regista britannico, che già con Sherlock Holmes aveva saputo adeguare al suo linguaggio la letteratura della tradizione.
Erede al trono di Camelot, ma orfano di entrambi i genitori a causa dello zio usurpatore Vortigern (un Jude Law in pieno stile The Young Pope), Arthur cresce in un bordello, dimostrando di saper sopravvivere anche nelle difficoltà e ignorando completamente il suo lignaggio e il suo destino. Fino a che la prodigiosa spada Excalibur non decide di rivelarsi.
La leggenda, il re, i cavalieri
Pensato per il grande pubblico, con abbondanza di effetti digitali e poca attenzione allo sviluppo narrativo tradizionale della storia, King Arthur – Il Potere della Spada è un progetto onesto che intrattiene con intelligenza, dal momento che Guy Ritchie riesce a fare suo il genere, giocando tra mitologia e azione, senza rinunciare alla sua irriverente loquacità, che appiccica addosso ai protagonisti e in particolar modo a Arthur, un Charlie Hunnam chiaramente in splendida forma che, per costruire la sua versione del mitico re bretone, ricorda moltissimo Robin Hood nel tratteggiare un Re Artù distaccato dalla classica rappresentazione del personaggio. Allo stesso tempo i suoi compagni di avventura abbandonano i panni dei romantici cavalieri per diventare personaggi coloriti, di strada, anche se fedeli fino alla morte al loro boss. Un misto di etnie e colori che andranno a occupare i posti di quella tavola rotonda che, in questo contesto scevro di inchini e riverenze, sembra stridere come acciaio contro acciaio con quello che accade nel mondo oggi.
Ritchie si conferma padrone del montaggio alternato per raccontare fatti che si sono svolti precedentemente o che ancora si devono verificare, conferendo alla narrazione brio e velocità, principale pregio del film. Parallelamente, le scene d’azione, principalmente fughe rocambolesche e duelli feroci, sono costruite con attenzione con un contrappunto musicale, che rivela la vera anima rock del film, a opera di Daniel Pemberton. Nonostante sia ambientato in un fantastico Alto Medioevo, King Arthur – Il Poter della Spada ha un sapore contemporaneo che si scontra piacevolmente con gli elementi magici e con il tradizionale ritratto della Camelot letteraria.
Guy Ritchie costruisce un’epica scanzonata e moderna
Soffocato dagli effetti
visivi, King Arthur – Il Poter della Spada si
sviluppa in una storia che a tratti fatica a trovare la sua
coerenza, disperdendosi vagamente tra visioni, profezie e
maledizioni che non sono esposte nella maniera più cristallina
possibile. Nonostante queste carenze strutturali, la pellicola è
infusa di un senso di epica scanzonata e di eroismo moderno che
Guy Ritchie cuce addosso ai suoi protagonisti con
ogni mezzo possibile, passando dalle panoramiche tipiche del genere
alla macchina a mano, fino ad appiccicarsi ai volti dei
protagonisti con la go-pro.
Partendo dal basso, come ha sempre fatto con i suoi protagonisti, il regista innalza l’ingegno e la furbizia, ancor prima che le virtù cavalleresche, costruendo un esagerato divertimento per il suo pubblico più affezionato.