La misura del dubbio: recensione del film di Daniel Auteuil

Il nuovo film del regista e attore francese arriva al cinema il 19 settembre

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La misura del dubbio, thriller psicologico diretto e interpretato dal celebre attore francese Daniel Auteuil, arriva nelle sale italiane giovedì 19 settembre. Distribuito da Bim Distribuzione, il film promette di tenere gli spettatori con il fiato sospeso, catapultandoli nel mondo dei legal drama, dove un avvocato cinico e disilluso si trova a difendere un uomo accusato di omicidio.

 
 

L’opera, tratta dalla raccolta Au Guet-Apens, chroniques de la justice pénale ordinaire scritta dall’avvocato francese Jean-Yves Moyart (sotto lo pseudonimo di Maître Mô) è già stata presentata al Festival di Cannes 2024, e, oltre a Daniel Auteuil nei panni del protagonista, può vantare un cast di tutto rispetto, nel quale troviamo Sidse Babett Knudsen, Isabelle Candelier, Suliane Brahim, Grégory Gadebois, Florence Janas, Gaëtan Roussel e Aurore Auteuil.

La trama di La misura del dubbio

Jean Monier, un avvocato navigato e cinico, ha deciso di abbandonare il mondo della giustizia penale dopo un caso eclatante in cui è riuscito a far assolvere un assassino recidivo. La sua fiducia nella giustizia è stata profondamente scossa e ha scelto di isolarsi. La sua tranquilla esistenza viene sconvolta dall’incontro con Nicolas Milik, un padre di famiglia accusato dell’omicidio della moglie. A malincuore, Jean accetta di difenderlo, spinto dalla moglie-collega e da una sottile curiosità che lo riporta verso il mondo che aveva abbandonato.

Il rapporto tra Jean e Nicolas si evolve così in un duetto intenso e complesso e l’avvocato, inizialmente scettico, inizia a dubitare della colpevolezza del suo cliente. Via via che l’indagine procede, inoltre, emergono nuovi elementi che mettono in discussione le prove a carico di Nicolas. E Jean, scavando sempre più a fondo, si ritrova a confrontarsi con un labirinto di indizi contraddittori e testimonianze poco chiare.

La misura del dubbio film (2024)
Daniel Autiel in La misura del dubbio

La misura del dubbio: depistaggi

È un’opera di continui depistaggi La misura del dubbio di Daniel Auteuil. Un film che procede per sussurri, per suggestioni, che accompagna il pubblico e in qualche modo lo distrae, quasi come durante il trucco di un abile prestigiatore. Un film che ragiona sullo scarto tra percezione e reale, lavorando sulla dimensione psicologica del suo protagonista per tradire l’orizzonte d’attesa spettatoriale. Un legal drama che molto attinge dalla grande tradizione cinematografica del genere, per poi trovare un degno compromesso tra aderenza alla formula e ricerca identitaria. E che di fatto colpisce, pur senza probabilmente imprimersi nell’immaginario, per la cruda concretezza con cui, progressivamente, ci priva di redenzione e appigli morali – scardinando speranze e riconoscibilità narrativa a favore di uno spiazzante colpo di scena finale.

Daniel Auteuil, qui in veste di regista, co-sceneggiatore e principale interprete del racconto, sembra a più riprese appoggiarsi alla più recente deriva “processuale” francese – che ampio spazio ha trovato nella produzione transalpina degli scorsi anni, venendo probabilmente consacrata dal successo ottenuto da Anatomia di una caduta (con cui Justine Triet ha parzialmente ridefinito le regole del genere). E si dimostra al contempo capace di intercettare la solidità strutturale dei riferimenti, per usufruirne nella costruzione di un’architettura concettuale differente. In grado di tessere una rete di mezze verità atte a imprigionare occhio e mente di protagonista e spettatore e rivelare maglie strette quanto i primi piani dedicati all’avvocato Monier e al suo assistito. In un perpetuo e cadenzato gioco di ribaltamenti, che – prima di lasciare la parola ai giurati – confonde realtà e racconto in un groviglio mentale inestricabile e in un labirinto senza apparenti vie d’uscita.

La misura del dubbio
La misura del dubbio film (2024)

La misura del dubbio: spostare il focus

Rinchiuso tra le pareti del tribunale e una piccola selezione d’interni (casa e carcere), dai quali troviamo respiro quasi esclusivamente attraverso i flashback tramite cui il regista ripercorre lo svolgersi delle potenziali tappe del caso giudiziario raccontato dal film, La misura del dubbio procede così passo dopo passo nel suo “inganno”; svelando poco a poco i dettagli e i risvolti di trama che sembrano poter fare luce sulle atrocità prese in esame, ma erodendo invece le possibilità di risolvere il rompicapo presentatoci dal regista.

Purtroppo, la scelta di spostare focus e macchina da presa dall’imputato al suo difensore – con l’intento di lavorare anche sul senso di colpa che affligge l’avvocato di Auteuil per via di un vecchio caso risalente a quindici anni prima – finisce per impantanarsi nel poco spazio che, in modo paradossale, lo stesso regista dedica al passato del suo personaggio. Paradosso che confina il protagonista solo in una delle due dimensioni temporali tra cui avrebbe dovuto “fare da spola” e che dunque, inevitabilmente, toglie parte della forza espressiva del film. Disperdendo uno degli ingredienti della storia ed evocandolo solo in un paio di frasi che, sebbene inserite ad hoc, non bastano a bilanciare l’attenzione posta sul delitto che funge da fil rouge.

La misura del dubbio
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Sommario

Un’opera di continui depistaggi, che trova un degno compromesso tra aderenza alla formula e ricerca identitaria, ma perde parte della propria forza espressiva nella paradossale gestione del suo protagonista.

Dario Boldini
Dario Boldini
Laureato in Lettere Moderne all'Università Statale di Milano, ha collaborato con l'Associazione Culturale Lo Sbuffo a partire dal 2019, scrivendo articoli e approfondimenti sul mondo dello spettacolo. Ha poi frequentato la specializzazione in Critica cinematografica presso la rivista e scuola di cinema di Sentieri Selvaggi di Roma, con la quale collabora dal 2022. Appassionato di cinema e serie tv, collabora con Cinefilos dal 2023. A partire dal 2022 ha partecipato a diversi festival cinematografici su territorio nazionale, tra cui quelli di Venezia, Roma, Torino, Bergamo e Trieste.

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