La solitudine dei numeri primi: recensione del film

La solitudine dei numeri primi

La solitudine dei numeri primi è il film del 2010 diretto da Saverio Costanzo tratto dall’omonimo romanzo di Paolo Giordano.

 

Nel film La solitudine dei numeri primi due episodi avvenuti durante l’infanzia marchiano in maniera indelebile le future esistenze dei due protagonisti, Mattia e Alice, fino all’incontro e alla scoperta di un legame sottile e necessario, paragonato a quello che esiste tra due numeri primi gemelli. Numeri primi solitari e isolati ma vicinissimi fra loro, accomunati dalle stesse particolarità, attratti l’un verso l’altra, ma che non riescono mai a unirsi, perché divisi da un unico invalicabile ostacolo: la sofferenza.

In La solitudine dei numeri primi Mattia (Luca Marinelli) è un bambino sensibile e con un’intelligenza superiore, ha una sorella gemella, Michela, inferma mentale, della quale si deve occupare sempre, perché così pretende la madre. Mattia, però è solo un bambino e ha bisogno anche di instaurare delle amicizie, tanto che il giorno della festa di compleanno di un suo compagno di classe, decide di lasciare Michela per poche ore in un parco giochi. Quando tornerà, afflitto dai sensi di colpa, non la troverà più.  Alice (Alba Rohrwacher) è una bambina che pur odiando la scuola di sci è costretta a frequentarne un corso dal padre. Una mattina, Alice si separa dal resto del gruppo e, nel tentativo di tornare a valle, finisce in un dirupo rimanendo gravemente ferita.

La solitudine dei numeri primi

La ragazza rimarrà zoppa per il resto della vita. Questi due drammi saranno talmente radicati nelle vite dei due protagonisti, da portarli a vivere in solitudine, emarginati dai compagni di classe, dagli amici e addirittura dalle stesse famiglie. Il mondo che li circonda è spietato, disumano e cruento, proprio come lo è la scena in cui Alice si fa squarciare con un coltello il tatuaggio che si era fatto per Viola, sua compagna di classe, popolare e meschina.

Il dolore è dunque il vero protagonista della storia, motore immobile dell’esistenza dei due personaggi; un dolore che riaffiora sempre, testimoniato da Costanzo attraverso continui stacchi di montaggio che ci mostrano in maniera confusa il riemergere di ricordi. 1984, 1991, 1998, 2007. Lungo questi anni le vite di Mattia e Alice scorrono parallele senza mai riuscire a congiungersi.  Nel 2007, Alice divorziata e anoressica decide di cercare Mattia, che vive in Germania per la sua carriera matematica, e lo invita a tornare da lei, così si rincontrano dopo sette anni, e si ritroveranno ancora vicini nel dolore, proprio nel finale, silenzioso ma intenso, in quel parco giochi e in quella panchina, dove Mattia aveva lasciato Michela.

Costanzo ha destrutturato la linearità narrativa del romanzo premio Strega 2008 di Paolo Giordano, avvertendoci sin dall’inizio, grazie anche alla musica di Mike Patton e a una grafica di forte impatto, che ci troviamo dinanzi ad un horror. L’orrore della sofferenza che attraversa corpi e anime dei due protagonisti. Un film di un regista che si dimostra già maturo, con una piena padronanza dei mezzi tecnici del cinema.

Evidente l’omaggio allo stile kubrickiano, nel quale i rumori e la musica creano maggior tensione delle parole, nel quale si alternano scene lente con movimenti quasi impercettibili a scene intense con l’ausilio della camera a mano, che tutto rende più emotivo. A brillare di luce propria in questo quadro sono i due giovani protagonisti: una scarnificata Alba Rohrwacher, sensuale e perfetta nei panni della tormentata Alice e Luca Marinelli, giovane esordiente, efficace nei panni del timido, impacciato e autolesionista Mattia.

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