Le nevi del Kilimangiaro – recensione

Dopo aver diretto numerosi film, tra cui Lady Jane e L’armée du Crime, Robert Guédiguian porta sul grande schermo Le nevi del Kilimangiaro, ispirato al poema ottocentesco “La povera gente” di Victor Hugo. Il film è ambientato nella Francia contemporanea, e fin da subito si intuisce l’essenza drammatica-sociale delle vicende: una fabbrica, causa crisi economica, deve ridurre il personale, e la scelta verrà operata attraverso un’estrazione casuale di venti nomi. A pescare i nominativi c’è Michel (Jean-Pierre Darroussin) che, ironia della sorte, estrae anche il suo nome. Tuttavia lo sfortunato evento non scalfirà minimamente la vita dell’ex operaio: Michel, in qualità di rappresentate sindacale, gode dell’indennità di disoccupazione. Per questo motivo il protagonista può continuare a vivere nel suo paradiso familiare insieme alla moglie Marie-Clare (Ariane Ascaride) e ai figli, che in occasione dell’anniversario matrimoniale dei genitori gli regalano un viaggio in Africa. Tutto sembra proseguire per il meglio, finché una sera la famiglia viene rapinata in casa da un gruppo di criminali, che sottraggono tutti i risparmi di Michel e Marie-Clare. Un vero choc per le vittime, ma ancor più scioccante sarà scoprire che tra gli assalitori era presente Cristophe (Grégoire Leprince-Ringuet), tra i licenziati estratti da Michel.

 

Chi guarda Le Nevi del Kilimangiaro si aspetta un film dove, dopo l’evento traumatico, subentra una spirale di rabbia, odio, vendetta e degrado, come del resto succede negli script narrativi di molte opere drammatiche. In realtà Guédiguain offre allo spettatore un punto di vista differente da quello più logico (almeno secondo il senso comune): la rabbia e la voglia di punire Cristophe cedono presto il posto alla riflessione sulla condizione sociale di molti giovani d’oggi. Il regista sottolinea abilmente la differente condizioni sociale tra due generazioni soffermandosi soprattutto sulla famiglia di Michel, che nonostante la perdita del lavoro e la rapina subita, continua un’esistenza serena insieme alla moglie e ai figli: il tutto sullo sfondo di un ambiente paradisiaco, caratterizzato da canti di cicale, sole splendente e una perenne vista sul mare. Con questo ritratto Guédiguain mette in evidenza l’importanza della famiglia, l’ammortizzatore sociale per eccellenza in tempo di crisi. Un ammortizzatore di cui Cristophe non dispone, anzi, il giovane deve badare ai fratellini più piccolini vista l’assenza dei genitori e l’affitto da pagare. Guédiguian, attraverso il personaggio di Cristoph, cerca di dare una visione differente del cattivo tradizionale, sottolineando come dietro a gesti efferati si nasconde, spesso, un disagio ingestibile. Preso a sé il rapinatore appare in realtà un ragazzo per bene, amorevole verso i fratelli e descritto dalla vicina di casa come una bravissima persona.

Tuttavia il regista preferisce non soffermarsi troppo su questa figura, evitando così di cadere nella commiserazione, poiché il film rappresenta una presa di coscienza di una classe privilegiata che s’interroga su cosa si possa fare per cambiare le cose, partendo anche dai più piccoli gesti. Ciò rende Le nevi del Kilimangiaro una favola sociale, dai toni leggeri e con un lieto fine. Un grande plauso a Guédiguian in grado di farci riflettere con leggerezza ma senza superficialità.

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