Le Sorelle Macaluso, recensione del film di Emma Dante #Venezia77

Un ritratto familiare senza troppi fronzoli porta nel concorso veneziano un'opera che può realisticamente ambire ad un riconoscimento, a sette anni di distanza dalla bellissima Coppa Volpi a Elena Cotta per Via Castellana Bandiera.

Le sorelle Macaluso film 2020

A sette anni dalla partecipazione al festival con Via Castellana Bandiera che portò la protagonista Elena Cotta a vincere la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile, torna in concorso alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia la regista palermitana Emma Dante. Lo fa, ancora una volta, con una storia di donne, quella di cinque sorelle: Le Sorelle Macaluso.

 

Tratto da una pièce teatrale diretta dalla stessa Dante, il film approfondisce la storia che tanto successo ha avuto già sulla scena. La trasposizione cinematografica riduce le sorelle da sette a cinque e, il tempo e lo spazio trovano nel linguaggio filmico una dimensione più simbolica e dilatata. La storia si sviluppa attraverso un arco temporale ampio, suddivisa in quella che potremo considerare, sempre rifacendoci al teatro, una struttura in tre atti.

Il primo atto de Le Sorelle Macaluso

Ogni atto si svolge in un momento diverso della vita delle Macaluso, il primo dovrebbe essere ambientato nell’estate del 1985 o al massimo del 1986 compatibilmente al riferimento esplicito a Ritorno al futuro di Robert Zemeckis, il film che Maria, la seconda delle sorelle, dovrebbe andare a vedere con un’amica in un’arena all’aperto. Le Sorelle Macaluso è un film pieno di dettagli, sono proprio quelli i riferimenti a cui lo spettatore deve aggrapparsi per lasciarsi trascinare nella vita delle protagoniste.

Si parte già dai primi minuti, quando le tre sorelle più piccole, non ancora ben caratterizzate (difatti di loro ci vengono mostrate solo le mani e le braccia) stanno provando a fare un buco in una parete. La luce penetra il buio e si alza il sipario sulla storia; la prima parte è caratterizzata proprio dalla luce, quella calda dell’estate. Le cinque sorelle sono quasi pronte per andare al mare quando ricevono una visita imprevista. Il signor Cangelosi si rivolge a loro per un ordine imprevisto di 80 pezzi. Antonella e Katia guidano i due giovani aiutanti del compratore al piano superiore, la soffitta, dove le sorelle hanno allestito una voliera piena di colombe bianche. La macchina da presa ci svela questo luogo incanto, quasi fuori dal tempo, a fare compagnia ai volatili un quadro carillon di un clown, la cui melodia scandirà i momenti cruciali del film nonché quelli di passaggio, un grande Pinocchio di legno e un cavallo bianco a dondolo. Proprio i toni del bianco ma anche quelli dell’azzurro e del suddetto giallo dominano questa prima parte che risulta essere quella più potente.

le sorelle macaluso recensioneCompletato l’ordine, le sorelle possono finalmente andare al mare, nella passeggiata verso il Charleston di Mondello la regista ne approfitta per presentare e caratterizzare i personaggi. Le ragazze si muovono accompagnate dalla parole della canzone Inverno di Franco Battiato, il motivo trascinante sembra quasi celare il testo del brano che di lì a poco risulterà profetico. Emma Dante sembra disseminare indizi (la sirena dell’ambulanza, l’uovo, la Barbie che galleggia) suggestionando il pubblico e preparandolo in un qualche modo ad un colpo di scena. La potenza degli indizi, però, verrà apprezzata a pieno solo nel momento in cui tutto risulta più chiaro.

Secondo atto, 20 anni dopo

Per il secondo atto abbiamo una data precisa, è il 12 ottobre 2015, lo scrive la dottoressa del laboratorio dove Maria lavora, ancora una volta l’ambientazione temporale è veicolata dal suo personaggio, su un sacchetto di plastica in un cui ha appena repertato un cuore, anche questo simbolo metaforico. Da un lato è riferito alla stessa Maria che cercherà proprio in questa seconda parte di tenere unita la famiglia dopo il colpo di scena iniziale, dall’altro ad esso è strettamente legato suggerendoci che un corpo senza un cuore è ormai una carcassa senza vita,  come il rapporto tra le sorelle è vuoto in assenza del collante che prima le teneva unite. Sono distanti, arrabbiate, se “ne fottono” l’una dell’altra. La terza parte è ambientata in un futuro prossimo in cui ritroviamo le sorelle ormai anziane.

I tre momenti che la Dante sceglie di mostraci sono tutti associati ad un momento di dolore, ad una perdita. La divisione non è netta il tempo scorre come il fiume che porta al mare, attraverso gli oggetti, i mobili, i volti. Lo stesso personaggio è interpretato in ogni sezione da una nuova interprete che eredita gestualità, cadenza, espressioni della sua versione più giovane. Il casting è eccellente, lo spettatore ha la sensazione di osservare sempre la stessa persona invecchiare nel corso della vicenda. Il lavoro è collettivo, nessuna interpretazione emerge sull’altra sono tutte sapientemente bilanciate.

Nel film anche il sonoro sembra un personaggio aggiunto, alle bellissime musiche della prima parte si contrappongo i ticchettii della seconda e lo scrosciare delle onde della terza. Risaltano la musica del carillon che attraversa ogni sezione e la canzone Meravigliosa Creatura di Gianna Nannini che è l’unica spettatrice della verità fin dall’inizio e ci guiderà nello svelamento finale.

Il film della Dante tocca il cuore mostrandoci le dinamiche familiari senza fronzoli, dall’impalcatura teatrale trapela verità e non finzione e forse anche stavolta la Dante riuscirà a collezionare un “ricordo” da Venezia.

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