L’ultimo degli ingiusti recensione del film di Claude Lanzmann

L'ultimo degli ingiusti recensione La memoria dell’uomo si basa essenzialmente sulla storia, sul tramandare gli eventi prima oralmente poi tramite la scrittura. La memoria è importante per formare la storia di un popolo, ma anche per permettere di consolidarne la conoscenza e la cultura. E’ essenziale mantenere la memoria per evitare di commettere gli stessi errori più volte, o permettere ad altri di farlo.

 

Con questo intento viene celebrato il giorno della memoria, istituito il 27 Gennaio del 2005 e da quel momento celebrato tutti gli anni. Quest’anno sono state molte le proiezioni di film che aiutano a mantenere viva la memoria dell’Olocausto, due film in particolare hanno come oggetto la stessa personalità, Adolf Eichmann, definito “la banalità del male” da Hannah Arendt, personaggio protagonista del film di Margarethe Von Trotta in sala il 28 e il 29 Gennaio 2014, e all’opposto, “un piccolo uomo insignificante” dall’opinione pubblica, come riporta il rabbino Benjamin Murmelstein nel film/documentario di Claude Lanzmann L’ultimo degli ingiusti.

L'ultimo degli ingiusti recensione posterMurmelstein, rabbino capo della comunità ebraica di Vienna dal 1938, preso come consulente da Eichmann è un personaggio controverso nei drammatici anni della messa in  pratica della folle idea di “Soluzione finale” di Hitler che doveva decidere chi doveva restare su questa terra e chi no. Murmelstein, e molte altre testimonianze, ricordano come, prima dei lager e dei campi di concentramento, alcuni personaggi al potere in Polonia avessero pensato di esiliare tutti gli ebrei, prima quelli polacchi, poi quelli tedeschi, su di un’isola, abbastanza lontana da evitare il “contagio” con altre persone: il Madagascar. Vista la difficoltà di realizzazione, il piano non viene abbandonato, ma portato, come dice Murmelstein, su terraferma. Il rabbino capo di Vienna è uno stretto collaboratore di Eichmann, che gli dà come ruolo quello di responsabile dell’emigrazione e che si trova coinvolto nella costruzione e nell’abbellimento di un’illusione che Hitler donò agli ebrei. Non è possibile concepire o accettare il male,  e quindi migliaia, milioni di ebrei, accorsero in massa quando il Fuhrer “regalò una città agli ebrei”, quella di Theresienstadt, una città-ghetto realizzata per ospitare i feriti, gli anziani o chi decideva di regalare tutti i suoi averi pur di non essere deportato altrove. Illusione che si infrangeva non appena il treno arrivava nella stazione della città prefabbricata.

Ciò che colpisce di più è la costruzione sistematica dell’orrore, di come questo diventi prassi e venga accettato come normalità. Murmelstein infatti sembra non essersi mai posto il problema della “giustezza” della richiesta nazista fatta dei cittadini che prima erano qualunque, di donare tutti i propri averi per potersi permettere un visto per l’espatrio, né sembra essere troppo choccato quando una scena del film di propaganda nazista viene tagliata perché il decano ebreo che era in quella scena venne giustiziato dopo pochi giorni, e quindi, non sarebbe una contraddizione, mostrarlo nel film.

La sua figura, forse perché fu uno dei pochi a sopravvivere senza troppe difficoltà, o forse senza rendersi mai realmente conto dell’entità di quello che stava accadendo, è stata ampiamente criticata dalla congregazione ebraica, tanto da non permettere il ritorno della sua salma in Israele.

Salzmann, già autore di “Shoah”, film esaustivo sull’Olocausto, mette in scena, nei luoghi ancora esistenti, le testimonianze di Murmelstein, da lui incontrato a Roma 40 anni fa, lasciando però allo spettatore il compito di immaginare le scene. Il luogo esiste, la memoria va ricostruita. Nonostante le tre ore e qualcosa in più di durata, il film è un ricco susseguirsi di eventi, perlopiù raccontati, su scenari immobili nel tempo, per far lavorare appunto la ricostruzione storica e la memoria.

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