Mià e il Migù: recensione del film d’animazione

Mià e il Migù

In Mià e il Migù Pedro fa l’operaio. E’ stato costretto dalla necessità di lavorare a lasciare la sua cara figlia, Mià, da sola al villaggio. Purtroppo resta intrappolato nel crollo di un tunnel. Mià, svegliatasi di notte, sente la necessità di rivedere suo padre, e si mette in cammino da sola per raggiungere il suo posto di lavoro, oltre la pericolosa foresta. Parallelamente seguiamo le vicende di un costruttore senza scrupoli, che vuole distruggere l’ultimo angolo di paradiso terrestre incontaminato per costruire un costoso complesso alberghiero. Proprio in quel cantiere lavora il povero Pedro, e Mià, insieme al figlio del costruttore, Aldrin, riuscirà a salvare la natura, aiutata dai magici Migù. La trama del film d’animazione diretto da Jacques –Rèmy Girerd ricorda vagamente le fantastiche storie di Miyazaki, senza però averne la profondità emotiva, né la bellezza cromatica ed artistica tipica del disegno del maestro giapponese.

 

Mià e il Migù dopo un inizio promettente, scandito da musica e immagini di rara poesia, si rivela un affastellamento di luoghi comuni che sfociano nel finale scontato e didascalico, decisamente infantile, forse anche troppo per le nuovissime generazioni che crescono a pane e videogames. Il disegno, in alcuni momenti morbido e fiabesco, ci presenta dei personaggi stilizzati che si muovono in una natura molto più viva e dettagliato degli uomini stessi. I colori virati sul giallo e sull’ocra donano un’atmosfera orientaleggiante al racconto, seppure l’ambientazione geografica della vicenda sia decisamente di fantasia.

Tuttavia Mià e il Migù presenta almeno un paio di momenti di profonda inquietudine che contrastano con il tono buonista del film, ma che ne aumentano leggermente la complessità, a favore del risultato finale. Le immagini sono ben accompagnate da una buona partitura musicale realizzata da Serge Besset.

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