Miss Marx, recensione del film di Susanna Nicchiarelli #Venezia77

Una inattesa protagonista ci offre un punto di vista diverso e moderno sulla storia che credevamo di conoscere.

Miss Marx

Miss Marx è il secondo dei quattro film italiani in concorso in questa strana e discussa edizione della Mostra Internazionale di Cinema di Venezia. L’edizione del Covid, come molti la definiscono, non senza qualche timore. Una edizione nella quale il film di Susanna Nicchiarelli irrompe con una innegabile forza e una inattesa freschezza. Come aveva fatto già nel 2017, quando il suo Nico, 1988 – sugli ultimi anni di vita della ex cantante dei Velvet Underground e musa di Andy Warhol – vinse il Premio Orizzonti.

 

Con questo quarto lungometraggio, la regista romana sembra continuare a giocare con l’immagine di intellettuale “organico” (come si sarebbe detto una volta), soprattutto ripensando al Cosmonauta del 2009 e al La scoperta dell’alba del 2013, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Walter Veltroni. Non un cliché, ovviamente, né una etichetta, anche se la vicenda ruota intorno alla figlia minore del filosofo teorico del comunismo, Karl Marx. Una figura appassionata e coinvolgente, colta e volitiva come non era comune vedere alla fine del secolo XIX. Una paladina ante litteram dei diritti delle donne e dei lavoratori, che seguiamo nella promozione di femminismo e socialismo, nella sua partecipazione alle lotte operaie e per l’abolizione del lavoro minorile. Ma anche la protagonista di una storia d’amore che oggi definiremmo “tossica”, quella con il più leggero Edward Aveling, un incontro capace di cambiare la sua vita per sempre.

A dare vita alla giovane Eleanor è Romola Garai, che mancava all’appello dal Suffragette del 2015 e che qualcuno ricorderà nel Espiazione (Atonement) di Joe Wright o nella miniserie BBC ispirata alla Emma di Jane Austen. Ma attenzione a vedere anche qui una ‘organicità’ che non c’è. L’interpretazione dell’ottima trentottenne e l’impostazione data dalla Nicchiarelli alla sua biografia regalano imprevisti schiocchi, quando non vere e proprie esplosioni di colore e musica. Che non ci si aspetterebbe forse a far da colonna sonora a una vicenda del genere, ma che non sorprenderanno i più avvezzi allo stile della regista.

Miss Marx film 2020Miss Marx, musica e libertà

Emblematica la prima scena, inaspettatamente punk. Perfetta – ma lo scopriremo poi – introduzione del personaggio: una Miss Marx coloratissima, tra Woodstock e Desigual, che esplode nell’ultima sequenza, liberatoria e a suo modo disperata. Momenti contrappuntati da alcuni degli splendidi riarrangiamenti dei torinesi Gatto ciliegia contro il Grande Freddo (gli stessi del film precedente) e degli statunitensi Downtown Boys, su tutti quelli de L’Internazionale e Dancing in the Dark. E che tracciano un circolo, che nel suo chiudersi affida ai pannelli conclusivi il racconto della fine della lotta di Eleanor. Non solo politica, ovviamente. Purtroppo.

“Future is on our side” si illudeva, e proclamava convinta la nostra antieroina, una combattente, in grado di partire dalle teorie paterne per scardinare le dinamiche di disuguaglianza tra uomini e donne, superandole nella sua lotta per l’abolizione del lavoro minorile, ma non abbastanza da gestire diversamente il suo rapporto con Aveling. Un amore accettato con i suoi pro e i suoi contro, con una consapevolezza rara per il tempo e la situazione, ulteriore conferma della forza di una donna capace di lottare per quello che voleva, anche se non esattamente per il proprio bene. Un elemento imprescindibile nella caratterizzazione di una protagonista che altrimenti sarebbe stata ben più piatta e polverosa e che sullo schermo acquista invece corpo e unicità.

Il socialismo dal volto umano

L’universalità di una relazione tanto contraddittoria e sofferta, fin troppo vicina a quelle di tanti, la modernità di un rapporto fuori dagli schemi e dalle convenzioni sociali, sono componenti fondamentali della vicenda. Ancor più di quelli legati alla sfera pubblica, alla Eleanor politica, la cui voce spicca di fronte a una platea di uomini incapaci di emergere dallo sfondo. Una scelta anche visiva, oltre che concettuale, della Nicchiarelli, determinata a capovolgere i clichés del dramma in costume e dell’epoca. Anche a costo di rivelare gli aspetti più esecrabili, fin troppo umani, di icone sopravvissute alle ingiurie dei secoli e al crollo delle ideologie. Facendo strabordare dalla cornice temporale un’ondata di umanità, contraddizioni e sentimenti, che travolge tutto. Anche lei, Miss Marx, che in un finale alla C’era una volta in America si appropria del piacere dell’amato ‘carnefice’ prima della definitiva liberazione.

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