Missing: recensione del film di Nicholas Jonson e Will Merrick

Sequel indipendente di Searching, il film costruisce il suo discorso narrativo dentro l'inquadratura di una webcam

© Sony Pictures

Smartphone, tablet, computer… la nostra società è oramai dominata dalle diverse forme tecnologiche e dalla digitalizzazione. Nel quotidiano costituiscono una “materia prima” fondamentale, in quanto capsule di tutti i beni necessari. Sono strettamente legate all’internet, bacino costante di informazioni – oramai indispensabile anche per l’attività lavorativa – e a volte possono rappresentare l’unica strada per salvare qualcuno. È in questo ultimo concetto che si annida il cuore di Missing, nuovo screenlife movie che sfrutta l’innovazione tecnologica per mettersi sulle tracce di una persona scomparsa.

 

È il sequel indipendente di Searching, dal quale non si trascina dietro né storia né personaggi ma solo la sua modalità investigativa: i dispositivi elettronici. La pellicola fa parte di un genere cinematografico ancora da esplorare, che nasce e fiorisce con l’era dei social e del web, e che proprio per questo ha davanti a sé un terreno fertile sopra cui edificarsi e prendere lo spazio che merita. Il film, scritto e diretto dal duo Nicholas Jonson e Will Merrick e distribuito da Sony, è ora nelle sale cinematografiche dal 9 marzo.

Missing, la trama del film

Missing Storm Reid

In Missing June (Storm Reid) è un’adolescente la cui vita ruota attorno al suo indispensabile Mac, escludendo dalla sua sfera privata la madre Grace (Nia Long). Quando la donna, insieme al compagno Kevin (Ken Leung), parte per un viaggio a Cartagena, in Columbia, June passa una settimana con le sue amiche all’insegna del divertimento. Ma il giorno in cui è previsto il ritorno della madre, quest’ultima non si presenta all’aeroporto dove la ragazza la sta aspettando. Scoprirà così che Grace è scomparsa e, tramite l’uso dei social e di google, June cercherà di mettersi sulle sue tracce, fino ad arrivare ad una sconvolgente scoperta sia sul genitore che sul suo passato.

Un thriller da gustare sullo schermo di un computer

Sapremmo stare per un lasso anche breve di tempo senza smartphone o pc? Probabilmente no. Questi dispositivi fanno oramai parte di noi e, che lo accettiamo o meno, assorbono gran parte del nostro tempo. A volte piuttosto che vivere la realtà, ci rifugiamo nel virtuale, una dimensione dalla quale traiamo tanti spunti, ma che è anche fonte di distrazione. Eppure spesso sembra che la nostra vita sia tutta lì, sullo schermo di un telefono o di un computer. Missing inizia a filare la sua trama partendo da una netta fotografia dell’era moderna dell’elettronica e del cyberspazio, due armi a doppio taglio in grado di essere sia supporto che distruzione.

I registi costruiscono l’intero film all’interno di un Mac e di un iPhone, strumenti che si alternano l’un l’altro per restituirci una storia dalla forte suspense, il cui peso è retto totalmente dalle spalle di una perspicace e determinata June. È lei il perno attorno al quale ruota ogni dinamica. Ne sostiene il ritmo serrato e gli snodi narrativi, non perdendo al contempo la sua struttura e visione adolescenziale. Il processo di sleuthing è affidato in toto a lei, tanto che i suoi comprimari, seppur siano coinvolti nella ricerca, sono nel racconto sempre marginali e addirittura superflui.

Un’altra nota accattivante è la modalità di ripresa: la macchina da presa affida in gran parte alla webcam il compito di seguire la protagonista, alternandosi di tanto in tanto con delle sequenze della schermata del computer, le quali mostrano il processo di tracciabilità – quasi da hacker – attuato da June. Quest’ultime rendono possibile la progressione del caso, svelandone dettagli salienti, oltre a macinare agghiaccianti plot twist.

Missing Ken Leung
© Sony Pictures

Non solo: la composizione visiva delle immagini al computer permette allo spettatore di partecipare all’indagine, mentre scopre di pari passo con la protagonista indizi e rivelazioni. Il cinema tradizionale perciò quasi si nasconde, e cercarne le caratteristiche diventa difficile persino quando la webcam si sovrappone all’inquadratura. Ci si rende subito conto che il frame sgranato non ha permesso uno scollamento con l’occhio della telecamera digitale e, proprio in quel momento, realizziamo di essere noi stessi spie della vicenda.

Internet, un problema e una salvezza

Se da una parte con Missing abbiamo una scrittura stuzzicante, il cui tono galvanizzato non cala mai, dall’altra abbiamo un contenuto su cui riflettere. La pellicola non vuole solo inghiottirci dentro la casa di June, nella quale con velocità si consuma l’imprevedibile thriller, ma mira a smascherare l’internet e l’uso dei social network. Perché se è vero che con il loro avvento si è trasformata in contemporanea la società e perfino il modo di intendere delle professioni, è altrettanto vero che ha corroso la verità delle cose. I registi inseriscono questa tematica in maniera sottile e sta a noi rimanere vigili per coglierla.

Quando il caso della madre di June comincia a essere mediatico, la ragazza si scontra con l’altra faccia della medaglia del web. Nonostante sia abituata a perdersi fra Snapchat, FaceTime, Tik Tok, che usa giornalmente per riprendere la sua vita, si accorge solo dopo quanto possano essere veicolo di informazioni sbagliate a danno degli altri. È il problema, innanzitutto, delle fake news. Una piaga che al giorno d’oggi, ad esempio, ha condannato il giornalismo. Divulgare contenuti fuorvianti, magari distorti e reinterpretati, può ledere le persone coinvolte. I social sono una grossa finestra di comunicazione e per tale ragione andrebbero usati con parsimonia e criterio.

Spesso però accade l’inverso: argomenti, magari delicati, vengono maneggiati senza un minimo di conoscenza – e coscienza -, allontanando gli utenti dalla realtà e costituendo un pericolo. Le app possono essere veicolo di bufale, ma anche di insulti e congetture, che in Missing la protagonista è costretta ad affrontare per difendere la reputazione della madre. E seppur per un periodo breve, è obbligata a mettere in stand-by la ricerca del genitore, impegnandosi in una lotta a suon di commenti social che possa restituirle la dignità.

Missing film recensione

Missing costruisce sullo schermo sia una storia che, bene o male, mantiene alta l’attenzione fino allo sconcertante climax finale, sia una denuncia verso i tempi dei social, i quali, ci rammenta, dovrebbero essere sfruttati in modo più avveduto. È uno screenlife movie che rappresenta bene la gioventù contemporanea, il suo approcciarsi alla quotidianità attraverso i nuovi canali d’informazione, risultando così essere un prodotto fresco e intelligente. Un plauso anche al lavoro fatto sulla sceneggiatura, semplice ma dotata di ricorrenti guizzi narrativi, volti a coinvolgere un pubblico in agitazione. Una pellicola che, nella sua buona fattura, non deluderà il suo spettatore, soprattutto quello giovanile.

- Pubblicità -
RASSEGNA PANORAMICA
Valeria Maiolino
Articolo precedenteUn Creed Universe è ufficialmente in fase di sviluppo, rivelato il primo potenziale progetto
Articolo successivoSuper Mario Bros. – il Film: ultimo divertente trailer
Valeria Maiolino
Classe 1996. Laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza, con una tesi su Judy Garland e il cinema classico americano, inizia a muovere i primi passi nel mondo della critica cinematografica collaborando per il webzine DassCinemag, dopo aver seguito un laboratorio inerente. Successivamente comincia a collaborare con Edipress Srl, occupandosi della stesura di articoli e news per Auto.it, InMoto.it, Corriere dello Sport e Tutto Sport. Approda poi su Cinefilos.it per continuare la sua carriera nel mondo del cinema e del giornalismo, dove attualmente ricopre il ruolo di redattrice. Nel 2021 pubblica il suo primo libro con la Casa Editrice Albatros Il Filo intitolato “Quello che mi lasci di te” e l’anno dopo esce il suo secondo romanzo con la Casa Editrice Another Coffee Stories, “Al di là del mare”. Il cinema è la sua unica via di fuga quando ha bisogno di evadere dalla realtà. Scriverne è una terapia, oltre che un’immensa passione. Se potesse essere un film? Direbbe Sin City di Frank Miller e Robert Rodriguez.
missing-nicholas-jonson-e-will-merrickMissing costruisce sullo schermo sia una storia che, tutto sommato, mantiene alta l'attenzione del suo pubblico fino allo sconcertante climax finale, sia una denuncia verso i tempi dei social, i quali, ci rammenta, dovrebbero essere sfruttati in modo più avveduto. È uno screenlife movie che riesce a rappresentare bene la gioventù contemporanea, il suo approcciarsi alla quotidianità attraverso i nuovi canali d'informazione, risultando così essere un prodotto fresco e intelligente.