Percoco – Il primo mostro d’Italia: la recensione del film di Pierluigi Ferrandini

Al cinema dal 17 aprile, il film diretto da Pierlugi Ferrandini porta sul grande schermo uno dei casi di cronaca nera che più sconvolsero l'Italia degli anni Cinquanta.

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Percoco il primo mostro d’Italia è il racconto della prima strage familiare del Novecento avvenuta nel nostro Paese ad aver avuto un enorme impatto mediatico che ha sconvolto l’opinione pubblica. Diretto da Pierluigi Ferrandini, barese come il triste protagonista di questa storia, il film è tratto dal romanzo di Marcello Introna, pubblicato nel 2012, che racconta l’intero percorso di vita di Franco Percoco, partendo dalla preadolescenza fino ad arrivare al drammatico epilogo.

Percoco – Il primo mostro d’Italia, la trama del film

Siamo a Bari, appunto, nel 1956. Il benessere economico insieme alla sensazione di rinascita è in crescente ascesa soprattutto negli ambienti della media borghesia, la classe che più di tutte era certa della solidità del progresso verso il quale si stava andando, poggiandosi su tappe fisse e incontrovertibili che scandivano la struttura sociale, culturale e ovviamente anche domestica. Qui inizia la storia di Franco (Gianluca Vicari), in un contesto particolarmente benestante, nel quale il papà fa mantenere a tutti un buon tenore di vita, tant’è che risiedono in un elegante condominio della zona bene della città.

Ma del loro figlio maggiore Vittorio che è in carcere e del minore, Giulio, affetto dalla sindrome di Down ne sanno in pochi, anzi, quasi nessuno. Un clima, dunque, in cui i bisogni primari sono senza dubbio soddisfatti, ma dove evidentemente c’è poco spazio per la libera espressione di sé. Ma non è certo strano a dirsi per quegli anni. La notte tra il 26 e il 27 maggio di quell’anno, Franco uccide a coltellate la madre, il padre e il fratellino Giulio. E l’aspetto per il quale ha raggiunto un macabro record è l’aver convissuto per dieci giorni a casa con i loro cadaveri chiusi nella stanza da letto dei genitori.

Per molti anni è stato identificato come “il mostro di Bari” e nel periodo immediatamente successivo alla scoperta del massacro, le mamme esitavano a fare uscire i bambini di casa e i quotidiani locali titolavano e descrivevano lui e quel che aveva compiuto come se si fosse trattato di un’entità maligna che aveva covato tutto nell’ombra. Un processo (in tutti i sensi) estremamente comprensibile e naturale, ma che racconta tanto delle impalcature morali di cristallo che di lì a poco più di un decennio si sarebbero miseramente sgretolate e alle cui conseguenze assistiamo tuttora.

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Il ritratto di un mostro e della società che lo ha prodotto

Pierluigi Ferrandini si concentra su quei giorni seguenti all’efferato delitto, quando Franco ha dato fondo a dei contanti trovati in casa facendo la bella vita con il suo amico Enzo Bellomo (Giuseppe Scoditti), la fidanzata Tina (Rebecca Metcalf) e la sorella di lei Angela (Federica Pagliaroli). E il ritratto che compone il regista ha una pacatezza e una precisione nel costruire la messa in quadro, da risultare quasi un insieme di fotografie dell’epoca. I colori, la staticità e la simmetria delle immagini rimandano alla contrapposizione psicotica del bravo ragazzo studioso ed elegante che il 26enne Franco sentiva di dover presentare in pubblico, con il grido di dolore che gli era imploso dentro e aveva scagliato contro la sua famiglia, evidentemente imputata d’essere la sorgente di ogni suo ostacolo per la felicità.

È infatti impressionante la progressione fine e raffinata con cui Ferrandini lentamente tira fuori dalle sequenze la mostruosità di Percoco, che in realtà non ha nulla a che vedere con il crimine commesso, quanto del suo desiderio di vivere una vita piena che ha però messo in atto in maniera folle e contraria. Quasi a far vedere che non c’è gesto che abbia davvero come movente la morte, bensì la voglia di essere libero e affrancarsi da una gabbia soffocante. Ed è perfetto il modo in cui il regista rende quel mondo. Ricrea l’atmosfera d’immobilismo composto e perbenista, addirittura comunitario per certi aspetti, facendo incarnare sì all’attore Gianluca Vicari l’incurante crudeltà con cui Percoco ha passato dieci giorni accanto ai corpi dei propri genitori, ma mettendo parallelamente in luce una società nella quale non era concesso sbavare i contorni. E chissà se oggi ne siamo del tutto lontani.

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