Trattare un tema entrato a far parte dell’immaginario collettivo è sempre un rischio, soprattutto se riguarda una pietra miliare della narrativa infantile. Ed è proprio questa la coraggiosa prova a cui si sottopone il Pinocchio di Enzo D’Alò, che dopo la tiepida accoglienza di Opopomoz, torna a collaborare con lo sceneggiatore Umberto Marino per riproporre le rocambolesche avventure del  celebre burattino di Collodi.

 

Discostandosi dall’edizione della Disney e di Benigni, occhieggiando al capolavoro di Manfredi, il regista concede poche licenze poetiche, arrivando a parafrasare interi dialoghi del testo e generando nello spettatore una strana ridondanza che non sempre risulta gradita. Il progetto di Pinocchio, sospeso più volte a causa di numerosi rimaneggiamenti di sceneggiatura, pur mentendosi saldamente ancorato alle linee del romanzo non manca di approfondire in maniera originale alcune tematiche molto complesse, tra cui spicca la figura di Geppetto, emblema per eccellenza del ruolo di genitore.

Pinocchio, il film di Enzo D’Alò

Pinocchio: recensione del film di Enzo D’Alò

Splendido il lavoro grafico del disegnatore Lorenzo Mattotti che realizza suggestive ambientazioni dove personaggi scaturiti da matita e pastello risultano ben caratterizzati, dando vita ad un mondo popolato da burattini ipercinetici e figure stilizzate. Numerosi sono i rimandi iconografici a  De Chirico e Prampolini, così come non mancano riferimenti all’espressionismo tedesco e al cinema di Fritz Lang.

Possente la colonna sonora di Lucio Dalla che spazia tranquillamente da Rossini ai ritmi scatenati del Jazz e dell’Hip Pop. Purtroppo però gli interventi cantati risultano molto ridotti e poco incisivi, relegandosi in secondo piano. Tra i doppiatori spiccano Rocco Papaleo, Mino Capriolo e Paolo Ruffini, anche se non sempre purtroppo le voci si adattano alle fisionomie dei personaggi.

Opera sincera e coraggiosa che però non può sottrarsi ad una narrazione troppo concentrata, nella quale gli eventi paiono svolgersi e risolversi in maniera troppo sbrigativa e spesso ingenua, lasciando gli spettatori più piccoli amareggiati. L’autore, confidando troppo nell’universalità della storia,  non dà agli eventi il giusto spessore e il tempo necessario per esaurirsi. Anche i dialoghi appaino posticci e trascinati, mischiando tra loro registri antichi e moderni che fanno a pugni con lo stile della narrazione.

Pinocchio è essenzialmente una storia per bambini, ma qui abbiamo a che fare con un’eccessiva ingenuità di fondo che rischia di non essere gradita soprattutto dal pubblico dei più piccoli. Malgrado ciò non possiamo non considerare questa ennesima opera di D’Alò come una prova di coraggio e qualità, che seppur non all’altezza dei suoi lavori recenti contribuisce ad affermare la sua grande passione per il mondo dell’infanzia.

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