La Principessa Mononoke recensione del film di Hayao Miyazaki

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La Principessa MononokeSiamo in Giappone, nel cosiddetto periodo “Muromachi” (1392-1573). Il giovane e coraggioso Ashitaka si scontra con un cinghiale posseduto da un Dio malefico e si impregna della sua maledizione, che dovrebbe portarlo alla morte in breve tempo. Partirà allora verso l’Ovest per tentare di neutralizzare il suo effetto. Si imbatterà in una guerra tra un piccolo villaggio “tecnologico” e un bosco incontaminato, dove vive il Dio-Bestia, creatura che regna su ogni cosa esistente.

 

Uscito originariamente nel 2000 in Italia, La Principessa Mononoke torna in una versione ridoppiata (8-15 maggio) grazie a Lucky Red. Come del resto tutte le pellicole di Hayao Miyazaki, non è un semplice cartone animato, ma dietro alla perfezione del comparto visivo, qui realizzato sia in computer grafica che a mano, si palesa una storia che mette sul piatto moltissimi temi e altrettante riflessioni: l’eterno scontro tra uomini e Dei, il progresso tecnologico contrapposto alla natura incontaminata, il ruolo degli uomini e delle donne, l’ignoranza (con significato di non-conoscenza) e più in generale il senso della bellezza del mondo, della vita. Temi che potrebbero essere raccontati in decine di modi diversi, ma Miyazaki sceglie la via che gli è familiare, dove lascia trasparire la passione per la natura, per la vita a contatto con gli animali, in una raffigurazione incantevole dello spazio aperto.

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la principessa mononokeNon è affatto un film consolatorio, che cerca a tutti i costi un lieto fine. Lo stesso Miyazaki dirà che “non ci può essere un lieto fine tra gli Dei della foresta e gli uomini”. Ma prova comunque a cercare una soluzione e prima di arrivarci mostra storie di vendetta, violenza, ma anche umanità e pietà. Insomma, un’ampia rosa di sentimenti umani. L’intreccio narrativo non è per niente semplice, così come i suoi personaggi, che vanno oltre il concetto di buono e cattivo, perché ognuno ha delle ragioni ben precise su quello che fa e dal canto suo, si trova dalla parte giusta. La figura del protagonista si discosta da questa ambiguità e simboleggia invece una purezza d’animo e di giustizia, che è presente sin da subito e, nonostante il viaggio affrontato, non subisce scossoni, ma anzi consolida la sua forte umanità. Parallelamente, la principessa Mononoke, che vive in simbiosi con il mondo animale e degli Dei, compie un percorso molto più profondo, che non la porta a cambiare opinione sul mondo umano, ma ad entrarvi in contatto in un modo che non aveva mai assaporato.

La Principessa Mononoke è Miyazaki in tutto il suo splendore. Sorretto da una storia complessa che può essere letta a più livelli, il film è la bellezza delle immagini e l’amore che il regista giapponese nutre per la Natura, nel senso più generico del termine. Lo spettatore ne viene travolto e incantato. Bellissimo.

Matteo Colibazzi
Matteo Colibazzi
Studia Cinema, Televisione e Nuovi Media al DAMS, Roma Tre. Ha frequentato un corso presso l'Accademia Radio-Televisiva di Roma ed è conduttore radiofonico. Tele/radiocronista di football americano, cinefilo maniacale, musicalmente dominato da rock e derivati. Tutto in rigoroso ordine sparso.

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