Riparare i Viventi recensione del film con Emmanuelle Seigner

Riparare i Viventi

Riparare i Viventi è un titolo carico di ambiguità e punti oscuri: cosa vuole comunicare davvero? Si riferisce ai vivi, a tutti coloro che sopravvivono ad una perdita e si ritrovano ad affrontare il lutto e la vita, cercando di difendersi e preservarsi come possono; oppure si riferisce alle persone che vengono baciate dal dono di una seconda opportunità, perché il Destino li ha scelti per una nuova occasione? La regista Katell Quillévéré cerca di sondare le infinite sfumature contenute in questo mistero attraverso un adattamento personale del best – seller omonimo firmato da Maylis de Kerangal, un vero e proprio caso in Francia che ha calamitato l’attenzione su un tema delicato e complesso come quello della donazione degli organi.

 

Riparare i Viventi – la storia

A Le Havre tre adolescenti scappano, a bordo di un furgoncino, per passare una giornata tra le onde, facendo surf. Al ritorno, hanno un terribile incidente stradale: uno di loro, Simon, viene dichiarato cerebralmente morto; nonostante il dolore inconsolabile dei genitori, i dottori dell’equipe dell’ospedale cercano di convincerli dell’importanza di donare gli organi, un’azione che potrebbe salvare la vita di qualcun altro. Contemporaneamente, a Parigi, una donna – Claire – aspetta proprio quel cuore che potrebbe salvarle la vita, definitivamente.

Tante storie e numerosi volti si incrociano in questo babelico affresco di un’umanità dolente, un’umanità in attesa, immortalata nel limbo doloroso tra Vita e Morte: una perdita può segnare l’inizio di una seconda opportunità per un altro sconosciuto, applicando al “fattore umano” la Teoria del Caos, dove una farfalla sbatte le ali per scatenare un uragano dall’altro capo del mondo. La regia maestosa della Quillévéré immortala i silenzi cupi degli spazi ciechi, tra corridoi d’ospedale, corsie illuminate dalle fredde luci a neon e cieli plumbei che gravano sulla testa degli esseri umani colpiti dalle avversità e dal Destino, che non riescono a contrastare; e proprio la loro natura così smarrita, infinitesimale rispetto alla grandiosità del disegno cosmico dell’Universo emerge con vibrante forza dalle inquadrature acquatiche, attraverso ardite riprese subacquee che trascinano perfino lo spettatore nel cuore stesso delle forze selvagge che dominano gli eventi.

Riparare i Viventi non gioca tutte le sue carte

Ma nonostante la bellezza, la maestosità e l’inquietudine di un paesaggio che riflette la drammaticità degli eventi narrati, Riparare i Viventi non riesce a giocare, fino in fondo, le proprie carte sfruttando appieno le potenzialità dell’intreccio babelico: non bastano nemmeno le impeccabili interpretazioni –calibrate e dolenti – a riprendere il ritmo altalenante di questa storia, che si increspa fino a spiaggiarsi inesorabilmente nell’ideale seconda parte che dovrebbe seguire la vicenda di Claire e del suo “nuovo” cuore. La Quillévéré adatta, con delicatezza, un romanzo su un tema spinoso, ma la trasposizione dalla pagina al grande schermo risente della matrice narrativa che permette di dare più spazio alla moltitudine di storie – e voci – che nel film non trovano, altrimenti, uno spazio ben definitivo nell’economia del racconto per immagini.riparare i viventi

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Ludovica Ottaviani
Ex bambina prodigio come Shirley Temple, col tempo si è guastata con la crescita e ha perso i boccoli biondi, sostituiti dall'immancabile pixie/ bob alternativo castano rossiccio. Ventiquattro anni, di cui una decina abbondanti passati a scrivere e ad imbrattare sudate carte. Collabora felicemente con Cinefilos.it dal 2011, facendo ciò che ama di più: parlare di cinema e assistere ai buffet delle anteprime. Passa senza sosta dal cinema, al teatro, alla narrativa. Logorroica, cinica ed ironica, continuerà a fare danni, almeno finché non si ritirerà su uno sperduto atollo della Florida a pescare aragoste, bere rum e fumare sigari come Hemingway, magari in compagnia di Michael Fassbender e Jake Gyllenhaal.
riparare-i-viventi-recensioneRiparare i Viventi non riesce a giocare, fino in fondo, le proprie carte sfruttando appieno le potenzialità dell’intreccio babelico: non bastano nemmeno le impeccabili interpretazioni –calibrate e dolenti – a riprendere il ritmo altalenante di questa storia, che si increspa fino a spiaggiarsi inesorabilmente nell’ideale seconda parte che dovrebbe seguire la vicenda di Claire e del suo “nuovo” cuore.