La regista spagnola Carla Simón torna in concorso a un festival dopo aver vinto l’Orso d’oro a Berlino con Alcarràs – L’ultimo raccolto nel 2022. Sfortunatamente Romería, suo ultimo lungometraggio presentato sulla Croisette, non è all’altezza di quella interessante riflessione sulla strenua resistenza di una famiglia di contadini di fronte alla minaccia dell’installazione di pannelli solari sui loro terreni.
Cosa sarei oggi se mi avesse cresciuta la famiglia di mio padre?
La storia si svolge nel 2004 e ha per protagonista Marina (Llúcia Garcia), una studentessa di cinema che vive a Barcellona e si reca a Vigo, in Galizia, per conoscere la famiglia del padre biologico, con la quale non ha mai avuto contatti da quando è stata data in adozione. Il viaggio la porta a incontrare prima uno dei suoi zii, Lois (Tristán Ulloa), la moglie di lui e una serie di cugini, sia coetanei sia più piccoli, che non aveva mai conosciuto. Con loro Marina riesce a stabilire un legame, condivide storie e momenti, ma appare subito evidente che il vero ostacolo sarà affrontare i nonni, i quali non hanno mai davvero accettato le scelte di vita del figlio. Al punto che, nel certificato di morte, non è nemmeno menzionata l’esistenza di una figlia, circostanza che causa a Marina diverse complicazioni legali.
Il film – che presenta diversi elementi autobiografici e potrebbe essere visto quasi come un seguito di Verano 1983 – accompagna Marina in un percorso di scoperta, che include anche una visita alle isole Cíes, dove i suoi genitori trascorsero del tempo insieme. Mentre ricostruisce la storia del padre, si trova di fronte a una famiglia complessa, carica di tensioni e segreti che il film fatica a rendere pienamente sullo schermo.
Nascondere le vite degli altri
Romería si configura come un racconto marittimo, una sorta di diario di bordo scritto negli anni ’80 e letto nei primi anni 2000, tra barche e palazzoni grigi in cui Marina immagina la vita dei genitori vissuta in libertà, contrapposta a quella della famiglia d’origine, benestante e repressiva, che ha cercato di nascondere la malattia e la sofferenza del padre perché “ci sono cose di cui non si parla in questa famiglia”. Nel corso della narrazione si percepiscono pesanti non detti, una sorta di scetticismo nei confronti di Marina, come se provenisse da una pagina della storia familiare che tutti i parenti hanno cercato di rimuovere.
“Non eravamo morti, ci avevano solo nascosti”, dirà, in una parentesi onirica, la proiezione del padre di Marina alla figlia. Proprio da questo sogno a occhi aperti, in cui la ragazza incontra i genitori, prende forma una parte più interessante del film, incentrata sull’immaginazione e sull’interpretazione del diario della madre. Non viene raccontato nulla della vita attuale di Marina né della sua famiglia adottiva: si sentono solo alcune telefonate, che non lasciano intuire insoddisfazione, quanto piuttosto il senso che questo sia davvero un viaggio – un pellegrinaggio, come suggerisce il titolo Romería – alla ricerca delle proprie origini.
Carla Simòn al varco: Romería non regge il confronto con Alcarràs
Purtroppo, Romería rimane un film piuttosto superficiale, un coming-of-age di scoperta che non riesce a farci entrare davvero in empatia con la protagonista e con la sua ricerca, soprattutto perché non comprendiamo mai appieno come lei stia reagendo di fronte alle nuove consapevolezze. La narrazione imbastita da Simòn risulta molto manichea, forse perché vuole adottare il punto di vista della ragazza che, nel raccogliere informazioni contraddittorie sulla propria famiglia, cerca di costruirsi una propria idea della gioventù dei genitori, da custodire come appiglio. Tutto rimane sussurrato, e nel contesto di un festival ricco di grandi immagini e storie tra loro simili, Romería finisce per passare nettamente in secondo piano. Un vero peccato, perché Simón è una regista interessante e, confezionando qualcosa di analogo ad Alcarràs, avrebbe potuto davvero ambire al Palmarés.
Romería
Sommario
Con Romería, Carla Simón torna in concorso dopo il successo di Alcarràs, ma delude le aspettative con un film che, pur toccando temi personali e profondi, non riesce a coinvolgere davvero lo spettatore. Il racconto del viaggio di Marina alla scoperta delle sue origini resta frammentato, sussurrato, e privo dell’urgenza narrativa che aveva caratterizzato le opere precedenti della regista.