Senza Nessuna Pietà: recensione del film con Favino

Senza nessuna pietà

Senza Nessuna Pietà è l’esordio alla regia di lungometraggio dell’attore Michele Alhaique, co-prodotto e magistralmente interpretato da un Pierfrancesco Favino gigante, non solo nella mole. Questo noir ambientato nella periferia romana è scritto e girato intorno a lui – il regista sceglie di stare attaccato agli attori fino a riprenderne i minimi particolari – cogliendone al massimo l’espressività, amplificando la valenza di ogni momento, ma soprattutto rendendo il senso di oppressione cui il protagonista è sottoposto. La camera a mano lo avvolge, facendo sentire il peso della mole, la fatica del respiro, che non sono solo fisici, ma specchio di una condizione psicologicamente pesante, non più sopportabile. Le altre interpretazioni sono anch’esse molto valide: dalla protagonista femminile Greta Scarano alle ottime caratterizzazioni di Claudio Gioè (amico di Mimmo) e Adriano Giannini.

 

In Senza Nessuna Pietà Mimmo (Pierfrancesco Favino) è un omone di mezza età che, oltre a fare il manovale, fa il lavoro sporco per conto dello zio imprenditore e usuraio (Ninetto Davoli), mentre il figlio di questi, Manuel (Adriano Giannini), si dà alla bella vita. Mimmo è ormai stanco di questa situazione, quando viene incaricato di andare a prendere una ragazza, Tania (Greta Scarano), destinata ad allietare una delle tante feste di Manuel. Quest’incontro dà a Mimmo la forza di ribellarsi alla famiglia e spinge anche Tania a rompere con la vecchia vita.

Senza Nessuna Pietà, il film

Senza nessuna pietà

Tuttavia, soggetto e sceneggiatura sono altalenanti tra buoni spunti – una storia di riscatto e sentimenti, uno sguardo acuto alle periferie e al disagio esistenziale – e incongruenze che coadiuvano le svolte narrative, ma non rendono un buon servizio ai personaggi. Specie al protagonista: un gigante buono, un animo sensibile costretto alla violenza e al crimine da un mondo “senza nessuna pietà”. A tratti consapevole e avvertito rispetto al mondo che lo circonda e che conosce bene; a tratti troppo ingenuo. Un po’ paterno – accenti delicati, toccanti e ironici ha il legame tra lui e Tania, fatto di affetto e istinto di protezione, ma percorso da una sottile vena di sensualità – un po’ bambinone, ma a volte esagerato in entrambi gli aspetti. Alcune sue azioni sono difficilmente spiegabili e stridono con un personaggio che vuole darsi una seconda possibilità. Un paio di ingenuità, utili a far procedere l’intreccio, ma poco comprensibili, riguardano anche altri personaggi.

Uno sviluppo narrativo facilmente intuibile non giova e rende meno efficace l’altra metafora visiva che percorre il lavoro: ampi spazi, mare e cielo, si sostituiscono ai palazzoni di periferia, ma è subito chiaro che quell’orizzonte di libertà difficilmente si spalancherà di fronte al protagonista. Un’interpretazione da non perdere, tra luci e ombre di un esordio comunque promettente per un regista di talento, che speriamo di vedere ancora all’opera. Senza Nessuna Pietà è nelle sale, dopo il passaggio a Venezia nella sezione Orizzonti.

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