Arriva il 13 gennaio al cinema Shame, il discusso e osannato film di Steve McQueen che all’ultimo Festival di Venezia è valso la Coppa Volpi al suo protagonista, un Michael Fassbender alle prese con un ruolo complicato e delicato, che mette letteralmente a nudo ogni lato della sua complessa personalità.
Brandon è un affascinante trentenne con dei ritmi di vita molto regolari e che nasconde un segreto: una disperata dipendenza dal sesso che lui in prima persona vive con metodicità, ma che l’irruzione della sorella Sissy gli farà vedere con gli occhi dell’autocommiserazione. Shame è principalmente un viaggio, dallo stretto punto di vista del protagonista, di quanto in basso, nella propria considerazione e in quella degli altri, possa scendere una persona prima di sentire la necessità di una catarsi, prima psicologica e poi fisica. E così seguiamo Brandon per le strade di New York, sempre alla ricerca di sesso, in qualunque forma esso si presenti.
McQueen non solo offre al suo amico e protagonista un ruolo impegnativo, ma lo coinvolge anche in piani sequenza decisamente difficili da reggere, e il nostro Fassbender se la cava alla grande soprattutto quando è in compagnia sullo schermo di Carey Mulligan, che interpreta la disturbata Sissy, anche lei straordinaria in un ruolo a metà tra la dolcezza dell’infanzia e la follia dell’età adulta insoddisfatta e sofferente.
Shame non si sofferma
ad indagare le ragioni intime e i rapporti interpersonali che
intercorrono trai soggetti, ne mostra solo il lento disfacimento,
l’inesorabile discesa verso un baratro che sembra apparentemente
inevitabile. Come sempre più spesso accade, nel finale non ci è
dato sapere quale sarà la sorte del nostro eroe. Dopo aver toccato
il fondo e rischiato irreversibile, Brandon torna alla sua vita
regolare e monotona, ma il suo sguardo è davvero cambiato?
McQueen sceglie di lasciarci nel dubbio e per una
storia che scende così a fondo nella perversione della psiche umana
probabilmente dare un finale esplicativo sarebbe stato impossibile,
o quantomeno riduttivo.
Del film resta senza dubbio una buona regia, che predilige la sequenza lunga e il racconto integrale, senza ricostruire dialoghi e situazioni attraverso il montaggio, e l’interpretazione di Fassbender e Mulligan, senza dubbio la migliore, forse per entrambi.
Il film arriva accompagnato da un ingiustificato scalpore, legato principalmente al nudo integrale di Fassbender che a Venezia ha gettato in un panico divertito critica e pubblico, ma che in realtà non aggiunge né toglie molto ad un film in cui, oltre alle grazie di Fassbender si notano anche molte donne completamente nude, ma, si sa, il nudo femminile ormai non fa parlare più nessuno.