Shame: recensione del film con Michael Fassbender

Shame film

Shame, il nuovo film di Steve McQueen, artista visuale con un’omonimia pesante, viene presentato in concorso a Venezia 68. In Shame Brandon è bello, di successo, elegante, vive a New York. Una vita che vista da fuori, sembra perfetta. Brandon è però malato, incapace di concepire una relazione che non sia sessuale  e che non sia consumata al minuto e terminata un attimo dopo. Sua sorella è l’opposto. Cerca la stabilità e la relazione, ovunque, e non riesce a capire chi la sfrutta solamente e chi invece la ama davvero.Un giorno cerca rifugio a casa di Brandon, per stare con lui, per sentirsi di nuovo famiglia. Lo stare insieme li porterà verso un percorso di catarsi.

 

Innanzitutto, ricordiamo chi è il presidente di giuria di questa Mostra del cinema di Venezia: Darren Aronofsky. Un uomo che ci ha raccontato di wrestler cinquantenni che cercano il riscatto, di ballerine ossessionate dalla perfezione, di tossici incapaci di liberarsi, di persone che non rinunciano alla vita nonostante la morte.

Shame, tutte ossessioni, tutte estreme.

Un film come questo, Shame, è decisamente pane per i suoi denti. Il protagonista, Brandon, interpretato da un intenso Michael Fassbender, è sulla strada per la distruzione e la percorre abbastanza velocemente. Non sa però di esserlo, finché gli eventi esterni non glielo fanno notare. Il computer di lavoro gli viene sequestrato e gli viene chiesto come mai sia pieno di filmati porno, l’incontro con una ragazza che concepisce lo stare insieme ad una persona come un evento logico e voluto dall’intenzione di costruire qualcosa di duraturo, una sorella che ti dice che non tutte le donne sono semplicemente oggetti sessuali.

Shame è un cerchio, una tesi, inizia e finisce allo stesso modo, ma nel mezzo è successo di tutto, con quali risultati sul personaggio non si sa. Gli ultimi quindici minuti, i più duri visivamente, i più duri per il protagonista, sembrano gli attimi finali di una maratona, quando i muscoli friggono, ma la meta è vicina e quindi si spinge al massimo anche con il rischio di farsi male. In questo caso, anche cercando effettivamente di provare dolore, o cercando una risposta a una domanda che non si sa quale sia.

Il physique du role di Michael Fassbender è così opposto alla mentalità contorta del suo personaggio che l’immedesimazione cinematografica è ancora più forte: Brandon è una persona orribile e fragile allo stesso tempo, malata e delicata; mentre il film si sviluppa, il rifiuto iniziale ad associare al personaggio quel tipo di comportamento distorto si affievolisce, diventa comprensione di una deviazione. L’ossessione da sesso non è trattata in modo giocoso e condizionato da uno stile di vita come ad esempio Le regole dell’attrazione, ma si rivela essere per un uomo adulto come Brandon,  un atteggiamento obbligato dal suo stile di vita.

La ricerca di una soluzione di Brandon è tutta interiore, laddove invece sua sorella, interpretata da Carey Mulligan,  è tutto un chiedere aiuto, lui non esterna mai la necessità di aiuto, cercando di espellere ciò che di male è dentro di sé nell’unico modo che conosce. Come i film di Aronofsky, Shame è un film di redenzione a metà, in cui il protagonista cerca di essere migliore, ma deve lottare con se stesso e la sua natura, fino alle estreme conseguenze. Posto questo, vedremo alla premiazione se queste previsioni sono sensate.

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Voto di Cinefilos.it
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Alice Vivona
Laureata in filmologia all'universitá Roma Tre con una tesi sul cinema afroamericano. Si guadagna il pane facendo la video editor, ma ama scrivere dei film che vede, anche su superficialia.tumblr.com Scrive per cinefilos da Settembre 2010
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