Esiste una legge invisibile tra gli adolescenti di oggi ritratti in Share di Pippa Bianco, che se da una parte giustifica ogni azione, soprattutto le più disdicevoli, dall’altra stipula in loro una sorta di tacito accordo per cui chi parla è un traditore. Mandy (Rhianne Barreto) ha sedici anni e si risveglia sul vialetto di casa senza ricordare nulla della sera precedente, ma le abrasioni che trova sul suo corpo e un video inviatole dai compagni di scuola sono la testimonianza di un abuso incosciente; decide così di confessare l’accaduto ai genitori, e avendo “tradito” quel patto si trasforma nella colpevole da perseguitare. Questo vuol dire che nel momento in cui diventi l’eccezione, sei fregata. Non è forse la più grande contraddizione del nostro tempo, l’omologazione nel senso più malato e negativo?

 

Nel 2019 il cinema documenta la vita che a sua volta viene già documentata da telefoni cellulari in nome di una condivisione ossessiva, svuotata di significato, come lo erano le immagini riprese dalle telecamere di sicurezza dei giovani ladri di Bling Ring di Sofia Coppola: la verità è ormai un’idea da plasmare a seconda del momento e delle necessità, e sta all’arte – attraverso lo sguardo degli autori – trovare una guida nel buio. E’ ciò che riesce abbastanza bene alla giovane regista ampliando il tema dell’omonimo cortometraggio con un ritmo riflessivo, per niente martellante, dove la tensione drammatica non viene mai suggerita da esplosioni verbali o scene madri quanto invece dal dialogo tra personaggi e lunghi silenzi. Il tono sembra volutamente dimesso nel film della Bianco, che fin dalla prima scena induce lo spettatore a perdere l’orientamento: chi ha lasciato la ragazza in quello stato, cosa è successo, chi guida la macchina, chi è l’autore dei video virali?

Share: il potere dello sguardo e il vuoto della generazione Z

Ma questa è anche un’opera in grado di contemplare, evitando il giudizio, il vuoto pneumatico della generazione z poco consapevole delle proprie scelte, che spesso non prende sul serio alcune decisioni (giuste o sbagliate), riflettendo al tempo stesso sull’idea di voyeurismo e sul consumo che ne deriva, accessibile a tutti tramite dispositivi di uso quotidiano e incontrollato. E in contrasto con la normale programmazione di HBO – che produce insieme a A24 e che di recente ha lanciato Euphoria, il suo teen drama formalmente provocatorio e artisticamente rilevante per un’infinità di ragioni (la Bianco ha diretto un episodio), Share è un oggetto di studio contenuto, quasi minimale per le scelte fotografiche e scenografiche. Niente viene esplicitato (la violenza ripresa dagli smartphone, il sesso fuori campo) ma reso espressivo attraverso l’agonia interiore della sua protagonista.

Interessante il modo in cui vengono mostrati i genitori, che non sono archetipi dell’universo teen, o peggio, dei conservatori eredi di un cinema d’altri tempi: il padre non riesce a comprendere pienamente il comportamento di sua figlia, come quando le dice “Non credi di essere uscita abbastanza?” mentre più tardi si riscatterà con grande tatto; la madre invece riassume in poche frasi il peso del trauma alludendo ad abusi subiti e denunciando come in passato le donne non avessero tutti i mezzi necessari per ribellarsi e denunciare il sistema. L’ultima inquadratura, a detta della Bianco, è aperta a interpretazioni: forse è vero che la maggior parte delle aggressioni a quell’età sono compiute con le migliori intenzioni, o almeno non consapevolmente, ma di certo gesta del genere non devono restare impunite. Ognuno ha le sue colpe e le sue responsabilità, e c’è un mondo intorno che potrebbe testimoniare il vero (cellulari, persone, memoria), eppure Share sceglie di mostrare solo quello “interno” alla mente di Mandy, di cui otteniamo la sua verità, i suoi pensieri, la sua anima. Share andrà in onda in prima tv su Sky Cinema Due il prossimo 6 novembre alle 21.15.

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