Sono un pirata sono un signore: recensione del film

Il suono delle parole, il ritmo incalzante della parlata partenopea che gioca in egual misura con l’altro e con te stesso; che affonda la voce nella rabbia, nella gioia o nella disperazione per trasformare il sentimento nei versi di una “canzone popolare”. E’ la componente linguistica, dialogica, a meritare interesse in Sono un pirata sono un signore , commedia scritta, diretta e interpretata dal napoletano Eduardo Tartaglia che, dopo il successo di regione ottenuto con La valigia sul letto, si dimostra abile nel maneggiare i tipici scambi da frizzi e lazzi di tradizione eduardiana, generando fra questi uno spazio di riflessione, intima e umana. Come quello che si crea nella sequenza del falò, della Luna caprese intonata in riva al mare dai personaggi della storia, compresi i due coniugi anziani del continente nero che conoscono il testo di Peppino Di Capri a memoria, nonostante siano praticamente in un altro mondo.

 

E’ evidente che non può essere così e, di certo, non era nelle intenzioni del regista fare in modo che quella scena sembrasse vera, inserita com’è in un film interamente pervaso da un’atmosfera surreale, fiabesca, quasi da Mille e una notte. Eppure è significativa perchè risolve i nodi costitutivi della trama: le differenze sociali e culturali che intercorrono non soltanto fra i malcapitati e gli africani, quanto fra i quattro italiani, estranei fra loro e in parte anche a loro stessi, ma capaci di trovare una dimensione comune e di condivisione nel corso di quella  avventura così strana.

Ne Sono un pirata sono un signore Giulio (Francesco Pannofino), Mirella (Giorgia Surina), Catello (Eduardo Tartaglia) e Stefania (Veronica Mazza) sono, rispettivamente, due biologi marini dell’Università di Milano, impegnati in una ricerca sui fondali delle coste africane; un Marittimo napoletano imbarcato su una nave mercantile; e una parrucchiera, anche lei campana e assunta da una nobildonna per curarle personalmente il look a bordo della classica crociera di fine anno. Per un caso fortuito riuniti nella stessa barca (letteralmente e metaforicamente), vengono sequestrati da un gruppo di pirati, più o meno pacifici e impacciati,  per un riscatto di quindici milioni di euro.

L’evento, che scatena la partecipazione (superflua) internazionale, diventa occasione per ognuno di loro di riflettere sui propri fallimenti, per qualcuno affettivi, per qualcun’altro lavorativi, e di “sintonizzare il cervello su un pensiero più lento” come ha dichiarato Veronica Mazza in sede di conferenza stampa: ad esempio sul mare, o sul bisogno dell’altro. Luoghi comuni, certo, ma che siamo disposti ad accettare perchè trattati con onestà e leggerezza, al di fuori di presunzioni intellettuali, e dentro invece il desiderio di far sorridere e divertire con semplicità.

Sono un pirata sono un signore è una commedia piacevole quindi, con alti e bassi nel ritmo e nella qualità della narrazione, ma assolutamente delicata e non volgare.

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