Sweet Sue: recensione del film di Leo Leigh – #RoFF18

Il film è stato presentato nella sezione Progressive Cinema della Festa del Cinema di Roma.

Sweet Sue film recensione

La commedia drammatica Sweet Sue, presentata in occasione della Festa del Cinema di Roma inizia con una premessa forte: non importa quanti anni tu abbia, può sempre ricercare la felicità. Con questa premessa e utilizzando una comicità tipica inglese già vista in After Life, Sweet Sue tocca argomenti intimi e delicati riuscendo anche ad emozionare i più scettici. Maggie O’Neill, protagonista del film nei panni di Sue, conquista per il suo umorismo, in un film che unisce tantissimi elementi contemporanei ma che non riesce ad entrare davvero in empatica con lo spettatore.

Sweet Sue, la trama

La cinquantenne Sue (Maggie O’Neill) torna sulla scena cercando un nuovo amore. Incontra un misterioso motociclista di nome Ron (Tony Pitts) al funerale del fratello e scocca la scintilla. Ma quando incontra Anthony (Harry Trevaldwyn), figlio di Ron e influencer sui social media, Sue si ritrova in una battaglia di volontà sempre più surreale con questo ambizioso adolescente, convinto che il suo corpo di ballo “Electric Destiny” sia destinato alla celebrità. Riuscirà a trovare lo scopo e l’immaginazione per riunire questa piccola famiglia non convenzionale in una possibilità di felicità?

Sue è una versione più eccentrica del Ricky Gervais di After Life, e non è un aspetto negativo anzi è quello che regge il film nella sua totalità. Molti aspetti di Sweet Sue ricordano la serie Netflix: il tema del lutto, della crisi di trovare un nuovo amore quando ormai si è vissuto oltre metà secolo, la cura per i genitori e personaggi secondari che ruotano intorno cercando di dare consigli e sollievo per una situazione non facile. Sue però non cade nell’autocommiserazione come il personaggio di Gervais, ma è piuttosto tosta e risoluta nelle sue azioni tanto da conquistare Ron, un tenebroso motociclista che nasconde molte tribolazioni.

Sweet Sue film

La famiglia

Proprio queste tribolazioni non fanno altro che svantaggiare il personaggio di Ron nella narrazione di Sweet Sue. Al contrario della donna, così attiva e dinamica con un umorismo tagliente, Ron è taciturno. Quando entra in gioco il figlio Anthony le dinamiche familiari di una famiglia poco convenzionale pongono l’accento sulla sua passività e sui demoni. Questa stessa passività si tramuta in incertezza nella sua relazione con Sue che invece ha trovato in Anthony un alleato meno noioso. Un ragazzo giovane che nasconde molteplici imperfezioni ma che Leo Leigh riesce comunque a grattare fino in fondo per farci conoscere il vero Anthony sotto la superficie luccicante.

Sweet Sue si concentra proprio su quello che i personaggi nascondono sotto questa superficie. Lo fa con Sue stessa quando la vediamo con gli occhi tristi guardare una giovane coppia che si intrattiene nel suo negozio di costumi di cattivo gusto in una strada dell’East London. Oppure quando si occupa delle installazioni per feste organizzate. Sue è lì fisicamente ma mentalmente cerca solo un’occasione per fare il pieno di flûte di champagne e cercare l’anima gemella. Lo fa con i silenzi di Ron, con lunghe inquadrature in primo piano per sottolineare il suo turbamento. Diversi punti di vista osservati da più angolazioni per evidenziare le sfaccettature delle personalità di questi personaggi così fragili.

Figlio di Mike Leigh, il giovane Leo deve portare sulle spalle il peso di una eredità importante nel cinema britannico e con Sweet Sue concretizza la sua opera più completa che riesce a portare sullo schermo i turbamenti degli esseri umani utilizzando toni non drammatici ma usando l’ironia e una Maggie O’Neill che buca lo schermo.

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