The Devil’s Candy recensione del film di Sean Byrne

The Devil’s Candy

Esce venerdì 8 settembre The Devil’s Candy, un nuovo film prodotto dalla Midnight Factory. Questa piccola casa di distribuzione, nata da una cellula della Koch Media Italia, è relativamente nuova nel settore, ma vanta il merito di avere come obiettivo primario quello di portare in Italia film poco conosciuti, pellicole indipendenti e classici del passato rimasterizzati… il tutto, rigorosamente di genere horror.

 

Grazie alla Midnight Factory abbiamo potuto godere anche in Italia di ottime opere come Babadook, It Follows, The Invitation, Somnia e molti altri. Questo autunno ci porta sui grandi schermi The Devil’s Candy, nuovo film di Sean Byrne, qui alla sua seconda opera dopo il discreto The Loved Ones (2009).

La storia gira attorno ad una famigliola americana piuttosto sui generis. Mamma, papà e figlioletta sono infatti fan sfegatati della musica heavy metal, genere di per sé poco rilassante. Sulle note vibranti di Killing Inside dei Cavalera Conspiracy si recano a comprare la loro nuova casa. Che manco a dirlo risulta avere qualcosa che non va, e li farà imbattere in strani avvenimenti provocati dall’inquietante ex inquilino della magione (Pruitt Taylor Vince).

Il suono ha una parte molto importante. La pellicola si apre con accordi sconnessi ma assordanti di una Gibson Flying V (la chitarra più amata dai musicisti “dannati”: da Jimi Hendrix ad Eddie Van Halen, passando per Keith Richards), che per altro riveste un ruolo simbolico piuttosto interessante. Lo strumento, nella sua variante rosso fuoco, è spesso accostato al crocifisso capovolto, lungo tutta la durata del film.

Sembra che la trama sia stata in parte ispirata alla leggenda secondo cui il musicista Robert Johnson avesse fatto un patto col diavolo per diventare il miglior chitarrista vivente.

Contrariamente a quanto vuole a tutti i costi dimostrare, The Davil’s Candy non è un film particolarmente innovativo. Classico horror su una casa stregata, risulta essere piuttosto un Amityville in salsa metal. Non brilla per colpi di scena o per trovate narrative, ma nella sua prosaicità è comunque un prodotto dignitoso.

È apprezzabile lo sforzo di questo piccolo film indipendente, per esempio nell’uso di un linguaggio visivo simbolico: un protagonista dannato con le fattezze del Messia; l’uso frequente del colore rosso come riferimento alla tentazione e al peccato; la pittura come mezzo attraverso cui parla la nostra anima.

Ma la sensazione che l’uso di una colonna sonora così particolare sia solo uno specchietto per le allodole (per attirare quella particolare fetta di fan), è forte e persistente.

Per chi ama questo genere di musica, o per chi ama la musica e basta, si veda la commedia Tenacius D e il Destino del Rock.

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