The Great Passage recensione

The Great PassageThe Great Passage (Fune Wo Amu), inserito nella lista dei film papabili per l’Oscar 2014 da parte dei responsabili orientali, ma non rientrato nella cinquina, e presentato al WA! Japan Film Festival di Firenze 2014, è un film di Yuya Ishii, uno dei nuovi veri talenti del cinema giapponese contemporaneo. Tratto dall’omonimo romanzo di successo di Shiwon Miura, racconta la storia lunga quattordici anni della genesi di un dizionario. Segue le vicende di Mitsuya Majime (Ryuheu Matsuda), il quale diventa curatore di un nuovo dizionario, Il grande guado, nel quale devono essere contenuti tutti i termini esistenti, compresi gli slang moderni. Laureato in lingua e adoratore di libri e parole, ma anche goffo e imbranato, Majime è, a detta di tutti, un uomo più di parole che d’azione, che sul piano personale deve scontrarsi ogni giorno con l’amore per Kaguya Hayashi (Aoi Miyazaki), una cuoca, nipote della sua affittuaria, alla quale, nonostante la passione per le parole, non riesce a confessare i propri sentimenti.

 

Lo si potrebbe riassumere come il dietro le quinte della creazione di un dizionario, ma come giudizio è troppo superficiale, in quanto dietro a questa pellicola vi è molto di più. Il film infatti può essere visto attraverso diverse chiavi da lettura: da un lato come una storia di formazione, che vede il protagonista crescere e cambiare nel corso di questi quattordici anni, e divenire da bibliomane introverso e con problemi di comunicazione a uomo adulto con un proprio scopo nella vita, aspirando al fine ultimo della realizzazione professionale e amorosa. Nel film si possono trovare riassunti molti dei valori tradizionali giapponesi, quali la dedizione assoluta ad un progetto, la predominanza del lavoro di gruppo rispetto al lavoro dei singoli e la perseveranza ai limiti della resistenza fisica. Infine vi è da considerare il ruolo del dizionario in quanto metafora del valore e del significato dell’uso della parola, rendendo il curatore una sorte di traghettatore che permette alle persone di esprimersi.

The Great Passage è un film ben girato, con una regia invisibile e un ritmo tranquillo che accompagna perfettamente le tematiche affrontate, enfatizzando i silenzi e i gesti. Per quanto riguarda il tono della narrazione questa si sviluppa complessivamente in maniera un po’ troppo convenzionale, non trasmettendo quindi particolari emozioni, anche se bisogna sottolineare che riesce a far riflettere, in quanto parla di oggetti che hanno fatto il loro tempo e ai quali la gente ormai non bada più, perché sostituiti dalle moderne tecnologie. Il film si può definire una commedia, poiché punta al lieto fine, non prendendo quindi sul serio gli elementi di dramma, ma porta comunque con sé molta della realtà dei nostri giorni, in cui non basta impegnarsi per superare tutte le avversità prodotte dal caso.

- Pubblicità -