
Lo si potrebbe riassumere come il dietro le quinte della creazione di un dizionario, ma come giudizio è troppo superficiale, in quanto dietro a questa pellicola vi è molto di più. Il film infatti può essere visto attraverso diverse chiavi da lettura: da un lato come una storia di formazione, che vede il protagonista crescere e cambiare nel corso di questi quattordici anni, e divenire da bibliomane introverso e con problemi di comunicazione a uomo adulto con un proprio scopo nella vita, aspirando al fine ultimo della realizzazione professionale e amorosa. Nel film si possono trovare riassunti molti dei valori tradizionali giapponesi, quali la dedizione assoluta ad un progetto, la predominanza del lavoro di gruppo rispetto al lavoro dei singoli e la perseveranza ai limiti della resistenza fisica. Infine vi è da considerare il ruolo del dizionario in quanto metafora del valore e del significato dell’uso della parola, rendendo il curatore una sorte di traghettatore che permette alle persone di esprimersi.
The Great Passage è un film ben girato, con una regia invisibile e un ritmo tranquillo che accompagna perfettamente le tematiche affrontate, enfatizzando i silenzi e i gesti. Per quanto riguarda il tono della narrazione questa si sviluppa complessivamente in maniera un po’ troppo convenzionale, non trasmettendo quindi particolari emozioni, anche se bisogna sottolineare che riesce a far riflettere, in quanto parla di oggetti che hanno fatto il loro tempo e ai quali la gente ormai non bada più, perché sostituiti dalle moderne tecnologie. Il film si può definire una commedia, poiché punta al lieto fine, non prendendo quindi sul serio gli elementi di dramma, ma porta comunque con sé molta della realtà dei nostri giorni, in cui non basta impegnarsi per superare tutte le avversità prodotte dal caso.

