Norimberga è il nuovo film diretto da James Vanderbilt in uscita nelle sale italiane il 18 dicembre 2025. Ambientato nel delicato e controverso periodo dei processi di Norimberga, il film ricostruisce con ritmo da thriller uno dei momenti più cruciali del Novecento, provando a riflettere sui concetti di giustizia, memoria e responsabilità individuale. Distribuito da Eagle Pictures, il film vanta un cast di primo piano con Rami Malek, Russell Crowe e Richard E. Grant e, con una durata di 148 minuti, riporta sul grande schermo una pagina fondamentale della storia contemporanea.
La trama di Norimberga
Ambientato nella Germania del 1945, all’indomani della resa del Terzo Reich, Norimberga ricostruisce le fasi iniziali dei processi intentati dalle potenze Alleate contro i principali esponenti del regime nazista. Al centro della narrazione ci sono le udienze del Tribunale Militare Internazionale, chiamato a giudicare le responsabilità legate ai crimini commessi durante la Seconda Guerra Mondiale e allo sterminio degli ebrei europei. La storia segue Douglas Kelley, giovane psichiatra dell’esercito statunitense interpretato da Rami Malek, incaricato di valutare la capacità mentale degli imputati per stabilire se possano affrontare un processo.
Nel corso del suo lavoro, Kelley entra in contatto diretto con alcune delle figure più rilevanti del regime, tra cui Hermann Göring, interpretato da Russell Crowe, ex comandante della Luftwaffe e uno dei principali imputati. Il rapporto tra Kelley e Göring si sviluppa attraverso una serie di colloqui che assumono progressivamente la forma di un confronto psicologico, nel quale emergono strategie di controllo, resistenza e manipolazione. Parallelamente si svolge il lavoro dell’accusa, guidata dal procuratore capo Robert H. Jackson, interpretato da Michael Shannon, impegnato a costruire un impianto giuridico solido per attribuire responsabilità individuali ai vertici del nazismo e stabilire un precedente legale destinato ad avere risonanza internazionale.
L’incontro scontro tra immagini
Parlare oggi di fake news e post-verità, immersi come siamo nel marasma social a cui si abbeverano sempre più frequenti processi di misinformazione e disinformazione, appare quasi scontato. E se, come dichiarava ormai qualche anno fa l’economista Antonio Nicita in un’intervista per Pandora Rivista, “la post-verità sembra esser diventata una forma di negazionismo diffuso”, è chiaro come il concetto, seppur di giovane nomenclatura, affondi le proprie radici in diversi momenti della storia dell’umanità, specie in quei frangenti del Novecento in cui il tentativo di sopprimere la veridicità di orribili parentesi di violenza ha raggiunto il suo (momentaneo) culmine.
Colpisce dunque constatare, almeno da questa prospettiva, quanto il film di Vanderbilt, pur inserito all’interno di un contesto che avrebbe favorito un ragionamento in questi termini, rifletta in un altro tempo e attraverso un altro cinema. Dal momento che, fatta eccezione per qualche breve indugio sulla possibilità di accostarsi alla nozione di manipolazione della realtà storica e delle immagini che la raccontano, il regista sceglie di costruire il proprio climax nell’incontro-scontro tra orgoglio e responsabilità del singolo (dei singoli).
Norimberga, insomma, non mette (quasi) mai in dubbio quelle che sono le immagini della Storia (i campi di concentramento, i morti, le camere a gas). Al contrario, sembra quasi disporle in secondo piano, lasciando invece che a reclamare un ruolo da protagoniste siano altre due immagini/simulacro: da un lato quella del comando nazista rappresentato dell’imponente Hermann Göring, disposto a dichiararsi estraneo ai fatti e dunque non responsabile delle violenze commesse all’interno dei campi, dall’altro quella degli Alleati, decisi a erodere la tracotanza del nemico attraverso i canali legali di un processo.
Norimberga: una profondità simulata
Quella che avrebbe potuto attestarsi come un’opera di grande respiro e d’originalità d’approccio (il processo vero e proprio occupa una porzione abbastanza misera di minutaggio), cade però sotto al peso delle sue stesse ambizioni. Infatti, al netto dell’interpretazione magnetica di un Russell Crowe in grande spolvero, il film, strutturato per giocarsi tutto nella preparazione all’evento che dà il nome all’opera, finisce in più di un’occasione per disperdere potenziale narrativo. Non solo per un’eccessiva tendenza di Vanderbilt a romanzare le fasi del racconto – elemento che, con ogni probabilità, contribuirà a catturare una porzione di pubblico – ma anche e soprattutto per una gestione debole del climax, un frangente che sembra voler recuperare, invano, la forza espressiva di Codice d’onore, e dei numerosi momenti di confronto tra lo psichiatra interpretato da Rami Malek e il Göring di Crowe, sui cui scambi dovrebbe reggersi l’intera narrazione.
Purtroppo, le conversazioni tra Malek e il “gigante” neozelandese hanno infatti il limite di rimanere, per larghi tratti, sulla superficie delle cose, sfiorando o addirittura solo fingendo una profondità che, pur appartenendo al contesto storico di riferimento, fatica a emergere in modo compiuto nel testo filmico.
Norimberga
Sommario
Un’opera che, pur proponendo un interessante approccio alle immagini, cade sotto al peso dell’ambizione e di una profondità soltanto simulata.


