Un appuntamento per la sposa recensione del film di Rama Burshtein

Un appuntamento per la sposa

Michal (Noa Kooler) ha 32 anni e sta per sposarsi. Tuttavia, durante la cena di prova in vista del grande evento, appena un mese prima, il suo promesso le confessa di non essere innamorato di lei. La grande fede di Michel in Dio le permette di non scoraggiarsi né perdersi d’animo; stufa della vita da single la donna decide di non annullare le nozze, tenendo presente che “Ho il luogo, il vestito, l’appartamento. Dio mi troverà sicuramente un marito!”

 

Dopo aver esordito al 69 Festival di Venezia con La sposa promessa e suscitando l’interesse di critica e pubblico, la regista israeliana Rama Burshtein torna in competizione al Lido nella sezione Orizzonti con Un appuntamento per la sposa, in uscita nelle sale italiane a partire dall’8 giugno.

Rispetto al precedente, il tono di Un appuntamento per la sposa si fa più leggero; la regista si serve ampiamente dei canoni tipici della wedding comedy americana pur rileggendoli in una chiave totalmente originale.

Con l’ottima Noa Kooler nei panni della protagonista, vista come una atipica Bridget Jones, la pellicola si presenta come una commedia pop dalle tinte drammatiche che riesce a combinare ironia e situazioni surreali; Burshtein si dimostra pertanto in grado di commissionare i generi senza perdere di vista il suo temo prediletto e caposaldo della prima pellicola, quale quello della religione.

Azzardandosi a giocare e rileggendo in chiave ironica i meccanismi del complesso sistema culturale e religioso della comunità hassidica, Burshtein pone la figura femminile al centro della vicende, relegando quasi il genere maschile ai margini e rendendo l’uomo un mero accessorio atto solo a compiere la missione di Michal; sono infatti le donne – la madre, le amiche, la sorella – coloro che hanno un ruolo davvero significativo all’interno della vita della (quasi) futura sposa.

Un appuntamento per la sposa mostra una profonda riflessione sul nostro personale senso di solitudine, sui nostri obbiettivi e sulla caparbietà di ognuno di riuscire nei propri intenti, anche quando il mondo sembra muovere contro; la Burshtein risulta una regista capace di calibrare meticolosamente ogni elemento, regalandoci una commedia fresca in grado di alternare la malinconia sottesa alle battute ironiche, senza mai sprecarsi.

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Martina Meschini
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Martina Meschini
Classe 1993. Studio all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e talvolta scrivo di cinema nel vano tentativo di non pensare allo sconfortante divario fra giorni che mi restano da vivere e film da vedere.
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