Will Wilder (Moritz Bleibtreu) è un ex-attore che ora si confronta solo con un programma televisivo per bambini, dove veste i panni di un gigantesco coniglio. Depresso, frustrato, incompreso e la goccia arriva quando nessuno della sua famiglia, moglie (Patricia Arquette) inclusa, sembra ricordarsi del suo 40esimo compleanno. Grazie ad un equivoco, parenti e amici lo credono morto e Will, invece di confessare la verità, sfrutterà l’occasione per cambiare identità, diventando l’indiano Vijay Singh. Scoprirà di essere più felice lui e tutti quelli che gli sono intorno ma non solo: troverà una nuova intesa con la (ormai) ex-moglie.

Garbarski è riuscito a donare all’indiano interpretato da Bleibeteu, autore di una buona prova attoriale, una doppia dose di fascino: una estetica, più interessante ed esotica rispetto alla “prima” versione di Will; ed una immateriale, distaccata dal concetto esteriore, che accompagna il personaggio durante tutto il film. Del resto, così com’è affascinante il protagonista, lo è anche l’occasione che gli si prospetta: uscire dalla statica quotidianità, avere una speranza di cambiamento, ma soprattutto, sapere cosa gli altri pensano di lui. Senza tralasciare la chicca di poter partecipare al proprio funerale. Che si spalanchino le porte anche per il cuore allora, un riscoprirsi affettivo che ha dell’incredibile, ma tant’è.
Pur con un andamento che a volte sembra voler essere delicato e raffinato per forza, Vijay, il mio amico indiano resta un prodotto godibile, una commedia alla fine poco riflessiva per nulla basata sui dialoghi, che fa della rappresentazione fascinosa del suo protagonista il suo punto di forza, rimanendo però costantemente dentro alla pagina della superficialità.

