What difference does it make? (A film about making music) recensione del film di Ralf Schmerberg

What Difference Does It Make A Film About Making MusicNel 1987, quando un imprenditore austriaco decise di prendere una bevanda energetica tailandese, cambiarne qualche ingrediente e farne la Red Bull, bibita da vendere agli occidentali, soprattutto sportivi, alternativi e giovani, forse non credeva di avere avuto un’idea così geniale.

 

L’azienda austriaca, è infatti un impero, che a differenza di altre marche, la cui connotazione “imperialista” è più marcata ha allargato la sua attività, forse seguendo le sue origini europee, verso la promozione della cultura.

Red Bull organizza infatti eventi mediatici e sportivi, ha una televisione via cavo in Austria e la Red Bull Music Academy, un workshop di 5 settimane in cui alcuni talenti vengono selezionati in tutto il mondo per un corso intensivo con alcune delle icone della musica mondiale.

Per celebrare i 15 anni della scuola, i vertici dell’azienda hanno deciso di realizzare un documentario che celebra i tre aspetti principali che la animano: la musica, la passione e il divertimento.

La parte del leone la fa innanzitutto Brian Eno che snocciola saggezza e sapienza musicale in un magnetico primissimo piano, seguito poi da altri “mostri sacri” della musica, soprattutto dance ed elettronica degli ultimi 40 anni, da Richie Hawtin a Lee “Scratch” Perry.

Tra i vari, ci sono anche Giorgio Moroder e Nile Rodgers, ritornati sulla breccia grazie alla collaborazione nell’ultimo disco dei Daft Punk. C’è anche la signora del soul Erykah Badu, e Philip Glass che raccontano le loro emozioni sulla musica e sul fare musica.

Perchè il titolo del documentario, diretto dal regista di documentari sportivi Ralf Schmerberg “What difference does it make?” oltre alla referenza musicale diretta, alla canzone degli Smiths, si riferisce anche ad una frase appena pronunciata appunto da Brian Eno, che definisce così la differenza che c’è tra il fare e non fare musica, quindi tra il seguire o meno una pulsione irrazionale dell’estro e del talento. Che deve poi essere controllata e coordinata dalla conoscenza e dalla pratica, onde evitare di perdersi.

Sul perdersi c’è anche un capitolo interessante del filmato, riguardante le insidie che deve affrontare un musicista: sesso, droga e fama. Molti si perdono, molti le ribaltano e le usano come mezzi per non perdersi, come sostiene Nile Rodgers.

Un ruolo importante, nel documentario, lo ha anche il set prescelto dall’Academy: New York. Descritta in piani stretti, pochi skyline a cui molta filmografia ci ha abituato e molti colori ipersaturi.

Un solo campo lungo ce la restituisce in un modo diverso dal solito: all’alba, quando ancora il caos della metropoli non è entrato in azione. New York è forse la metafora della vita, che distrae, che può far deviare da quella che è la passione principale. Da tutti i guru che vengono interpellati viene infatti questa informazione: la musica è passione e divertimento, ma è anche una cosa seria, il talento va alimentato, insieme alla curiosità e all’improvvisazione e alla capacità di mettersi in discussione e provare con gli altri.

La Academy infatti aggrega, in gruppi creativi, i ragazzi selezionati, per poi fargli realizzare alcune tracce e portandoli allo stesso tempo in tour, per metterli alla prova.

La fruizione del film è molto lenta, e quindi forse la scelta, ovviamente innovativa, di fare una premiere online (al momento tra 4 ore circa) a questo indirizzo: http://www.rbma15.com/#, è la scelta migliore.

Il film sarà poi visionabile sempre allo stesso indirizzo gratuitamente

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