when the waves are gone recensione film

Il Leone D’Oro Lav Diaz (The Woman Who Left) presenta a Venezia 79 il suo nuovo film: When the waves are gone (Kapag Wala Nang Mga Alon). Il lungometraggio è un thriller poliziesco dall’alto valore estetico che riesce allo stesso tempo a fare un elogio al cinema e una critica alle forze armate filippine.

 

Di cosa parla When the waves are gone?

Hermes Papauran (John Lloyd Cruz) viene considerato da tutti come uno dei migliori investigatori delle Filippine. Le sue indagini come tenente della polizia lo mettono a dura prova. La campagna antidroga messa in atto dall’istituzione a cui appartiene prevede l’uccisione di ogni sospettato giovanissimo spacciatore. Il conflitto morale interno a Papauran si manifesta nel corpo con una violenta psoriasi che costringe il tenente a congedarsi. Ma proprio quando Papauran decide di prendere le distanze dal sistema corrotto in cui è costretto, l’uscita di prigione del suo insegnante della scuola di polizia lo costringe a fare i conti con i demoni del passato…

La perfezione estetica di Lav Diaz

When the waves are gone è un film corposo, in termini di durata, di temi e di rappresentazioni. Lav Diaz è noto per i suoi lungometraggi capaci di durare anche dodici ore. Questa volta, il regista realizza un’opera di tre ore totalmente costruita sul montaggio: le sequenze si alternano, i flashback sono inseriti fin dalle prime scene. Montaggi paralleli e alternati sono essenziali nella comprensione della storia che, per buona parte, appare alquanto confusa. All’inizio, Papauran e il suo maestro non sembrano aver a che fare l’uno con l’altro, ma minuto dopo minuto, le vicende riguardanti i due personaggi appaiono sempre più interconnesse.

Il contrasto tra l’orrore e lo squallore di quanto rappresentato – poliziotti corrotti, povertà dilagante, prostituzione minorile, fotografi senza scrupolo – e la precisione estetica di When the waves are gone è evidente e apprezzabile. Il bianco e nero è un tratto essenziale del film. Se da un lato l’assenza di colore ammorbidisce e annebbia la violenza delle immagini e delle scene, dall’altro è funzionale all’atmosfera noir dell’opera: toglie il rosso sangue e aggiunge ombre oscure sui personaggi e sugli avvenimenti.

L’ingiustizia che pervade le istituzioni preposte alla giustizia

Con When the waves are gone il regista porta sulla scena una serie di personaggi moralmente discutibili. È impossibile provare affetto per un qualsiasi membro della storia: ci si può impietosire, si percepisce la vergogna e l’imbarazzo di Papauran e degli altri membri del film, ma tutti sono almeno in parte corrotti e spregevoli.

La critica va in primo luogo alla polizia, un’istituzione che, nonostante abbia il compito di proteggere la cittadinanza e assicurare il rispetto delle leggi, si rende responsabile di uccisioni extragiudiziali e rapimenti. Diaz punta i riflettori sulle Filippine e sul presidente Rodrigo Duterte, ma il film serve come spunto per un discorso più ampio e globale. Il tenente Hermes Papauran si carica della sofferenza dell’animo filippino e, in generale, dell’animo umano. Secondo Diaz, la brutalità a cui abbiamo assistito negli ultimi tempi non può e non dovrebbe lasciare indisturbati. Con la sua opera, il regista vuole far aprire gli occhi non solo alle masse ‘ignoranti’, ma anche agli intellettuali. Le onde di When the waes are gone simboleggiano il flusso dei poteri malvagi e dell’ignoranza dilagante nel popolo e nella classe politica. L’augurio, come dice il titolo del film, è che queste onde passino quanto prima.

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