Il Racconto dei Racconti: Intervista al VFX Supervisor Bruno Albi Marini

In ESCLUSIVA Cinefilos.it ha intervistato Bruno Albi Marini il supervisore degli effetti visivi che ha reso possibile , insieme ad altre eccellenze italiane, la realizzazione de Il Racconto dei Racconti di Matteo Garrone, film in concorso che durante la sua proiezione al Festival di Cannes ha raccolto numerosi consensi tra critica internazionale e pubblico.

 

Ha una lunghissima carriera piena di titoli molto diversi tra loro, com’è stato l’approccio al lavoro con Matteo Garrone e come, in base agli effetti, sono state girate le scene?

Ho conosciuto Matteo lavorando per il film Reality. Lavorare con lui è una bella sfida per chi fa il nostro mestiere, perché è un regista che della realtà ama le imperfezioni, le sporcature, le casualità mentre il digitale nasce perfetto, pulito e preordinato. Bisogna quindi abbandonare tutto quello che rappresenta il digitale dichiarato e fine a se stesso e mettersi completamente al servizio del film.
E’ vero che anche io, e mi rendo conto di quanto  sia paradossale per un supervisore vfx, ritengo che il digitale vada usato lo stretto indispensabile, che sia talvolta “un male necessario” nel cinema, e che non debba mai prevaricare in maniera prepotente le immagini, ma la nostra formazione visiva resta comunque molto distante.
Mi piace comunque pensare che siano proprio le piccole differenze fra i nostri mondi che ci hanno permesso di arricchirci reciprocamente e di creare un risultato interessante e in qualche maniera inedito.
Per quel che riguarda le scene del film direi che si possono suddividere in due macroaree: le scene girate in location reali e le scene girate interamente in teatro (Drago, Pipistrella e Crepaccio Gravine).
Se da un certo punto di vista è vero che quelle girate in teatro sono state le più complesse come post produzione,  è anche vero che avevamo un environment ideale con green a 360°. In esterni invece abbiamo spesso faticato di più per allestire ed organizzare,  tecnicamente parlando, la scena sul set (green marker etc).

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Effetti speciali e effetti visivi sono due componenti diverse e importantissime di un film, che spesso vengono confuse. Dov’è il confine tra il suo lavoro e quello di Leonardo Cruciano che ha curato gli effetti speciali del film?

E’ una domanda a cui mi fa piacere rispondere perché spesso in Italia si fa confusione fra le due categorie. Gli effetti speciali sono effetti meccanici e prostetici realizzati direttamente sul set per simulare tutto quello che non è riproducibile utilizzando la realtà.
Gli effetti visivi, pur avendo lo stesso scopo, sono invece realizzati in post produzione digitale mediante l’utilizzo del computer.  Uno dei grandi equivoci italiani è quello che queste due tecniche siano un alternativa, mentre In realtà per un risultato ottimale è necessario l’utilizzo di entrambe senza alcuna prevaricazione dell’una sull’altra, anzi sfruttando i punti di forza di entrambe.
La collaborazione fra me e Leonardo Cruciano (va sottolineato che nel progetto in questione oltre ad aver curato gli sfx è anche supervisore artistico ed ideatore di tutte le creature) che va avanti ormai da molti anni, nasce proprio da questo presupposto, ed è confluita, grazie anche a questo film, nella creazione del gruppo Makinarium insieme a Nicola Sganga  (Vfx Supervisor) e ad Angelo Poggi  (Business Development Manager).

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Il racconto dei racconti

Ma vorrei fare un esempio pratico. La pulce gigante (che si vede anche nel Trailer) è stata interamente realizzata come creatura fisica in dimensione reale.
Al suo interno era presente una puppetteer (Antonia D’amore) ed era anche animata mediante tecniche animatroniche. Alcuni movimenti che però risultavano difficili da realizzare meccanicamente (respiri rantoli etc.) sono stati successivamente implementati in digitale, così come in post produzione abbiamo lavorato anche sulla resa fotografica della pelle.
Lo scopo era quello di avere un risultato finale che fosse troppo fisico per essere digitale e troppo complesso per essere meccanico e di conseguenza riuscisse a spiazzare e meravigliare lo spettatore.
Per chiudere l’argomento vorrei fare una battuta. Molti stanno scrivendo che il film funziona bene perché c’è poco digitale mentre in realtà noi sappiamo che ci sono circa 300 shot lavorati in vfx. Questo al contempo per noi è il miglior complimento ed anche la più grande condanna.
In sostanza quando fai questo mestiere la cosa migliore che ti possa capitare è che nessuno si accorga di te. E’ per questo motivo che ironicamente abbiamo ribattezzato il nostro gruppo di lavoro: “Invisibili”.

Andiamo sullo specifico, nella scena della grotta in cui Jonah è aggredito dal pipistrello, quali sono state le sfide più difficili?

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Le prime complessità che ha presentato la scena sono state di tipo pratico. C’era uno stuntman all’interno della creatura (David Ambrosi), la visibilità sotto la maschera era ridotta, faceva un gran caldo e gli spazi nella grotta erano molto stretti, quindi la recitazione è stata estremamente complessa.  In post produzione abbiamo scurito molto l’ambientazione per rendere il look molto più “caravaggesco” e la creatura più minacciosa. In alcune inquadrature la creatura è stata sostituita in digitale oppure parzialmente integrata, è stata anche modificata la struttura della grotta per rendere più credibile il disagio del mostro nell’inseguimento. Inoltre ci sono state da rimuovere le gambe dell’attore visto che la creatura non aveva forma antropomorfa nella metà inferiore, e sono stati aggiunti i bulbi oculari, poichè durante la post produzione è emerso che la creatura non aveva abbastanza espressività senza. Molto di questa scena si deve al lavoro di Dennis Cabella e Marcello Ercole.
Discorso a parte va fatto per il finale della scena invece. Era una situazione molto delicata e l’ho seguita personalmente in ogni sua fase. Non voglio svelare troppo ma la sfida più grande è stata trovare il giusto compromesso fra fisicità e pittoricità. In questo senso importantissimi sono stati i confronti continui con il regista grazie ai quali speriamo di essere riusciti a trovare la giusta strada e di aver dato il giusto peso evocativo, magico e pittorico a quel momento così importante nel film. Fondamentale in questa fase è stato il lavoro di Gabriele Chiapponi che si è occupato di tutte le simulazioni fisiche e particellari.

Per la scena del drago all’inizio del film, le foto di scena ci hanno fatto supporre che l’acqua sia stata realizzata in digitale. È corretto? Se sì, quanto è stato difficile?


Il racconto dei racconti  concept 3Comincerei  dicendo che per questa scena è stato fatto un mastodontico lavoro dal gruppo degli SFX della Makinarium. E’ stato realizzato un drago animatronico lungo quasi 10 mt, perfettamente credibile e semovente.
Inizialmente si era pensato di realizzare l’intera scena in un environment subacqueo. Le difficoltà ed i costi sul set sarebbero però stati enormi  ed anche tecnicamente la realizzazione dell’animatronica del Drago dovedo funzionare sott’acqua sarebbe stata ancor più complessa e costosa. Inoltre avremmo avuto un controllo estetico molto minore in fase di post produzione.
Abbiamo quindi deciso, daccordo con Nicola Sganga, di girare l’intera scena in studio e di ricostruire successivamente l’environment sottomarino.
Il look dela scena è cambiato molto dai primi concept. In principio l’ambientazione doveva essere molto più nitida, descrittiva e pittorica, ma successivamente ho sentito l’esigenza di proporre a Matteo un look molto più torbido ed angosciante, dove lo spazio diventava un concetto relativo e la solitudine e l’angoscia del re venivano emotivamente sottolineate dalla scarsa visibilità. Il Regista si è dimostrato entusiasta di questa scelta estetica e l’ha sposata fino alla fine.
Ci siamo in un certo senso ispirati alla scena in cui i due gemelli giocano sott’acqua nel lago (girata davvero in una piscina alle terme) che appariva molto suggestiva. 
Al di la di tutto questo in alcuni shot il drago è stato completamente sostituito o parzialmente integrato  (pinne, branchie) con un modello 3D perché doveva svolgere azioni altrimenti impossibili con l’animatronica. La cosa interessante di questo approccio è che il Drago reale aiuta a rendere più credibile quello digitale e viceversa.
Inoltre sono state inserite nuvole di sabbia digitale per dare la sensazione di un fondo sabbioso che reagisse ai movimenti di attore e creatura.
Importantissimo in questa scena l’apporto del gruppo di lavoro costituito da Matteo Petricone e Claudia Coppa, coadiuvati dal reparto 3D (Luigi Nappa, Alessandro Contenta, Gian Paolo Fragale, Andrea Salvatori)
Quindi rispondendo a proposito della difficoltà posso dire che il lavoro di post produzione ha avuto un grado di difficoltà elevatissimo a fronte di una notevole semplificazione delle cose sul set.

Per la realizzazione dei campi larghi, quanto c’è di reale, di green screen e di fondali dipinti (se sono stati usati)?

kMG_8903_bstage-Il-racconto-dei-raccontiDividerei la lavorazione sui fondali in tre aree principali.
– Ripulitura di location reali da contaminazioni moderne, sostituzioni di cieli ed adattamento alle esigenze registiche
– Realizzazione da zero di fondali miscelando varie fotografie di paesaggi,tecniche di 3D e compositing. In questa fase è stato fondamentale il lavoro di Amedeo Califano coadiuvato dai Matte Painte Artists  Tommaso Ragnisco e Giorgio Iovino
– Discorso a parte farei per la scena del Crepaccio Gravine (quella con l’orco sulla fune). Quella scena costituita da quasi 60 inquadrature è interamente girata in teatro con  due piccoli speroni di roccia e una corda. Tutto il resto del mondo è stato immaginato, ricostruito ed allestito in digitale, sempre sfruttando però immagini e fotografie reali, grazie anche al prezioso lavoro svolto da Luca Bellano aiutato da Sara Ciceroni e Korinne Cammarano.  E’ stato un lavoro enorme. Li chiamavamo il Team Ninja ed è un nome che si sono meritati davvero sul campo!

Poster

Qualcuno ha detto che per quanto è fatto bene, il film sembra americano. Noi invece abbiamo notato che il film ha una pasta vivida, carnale e realistica, molto lontana dai prodotti patinati made in USA, e proprio per questo di valore ancora maggiore. Un magnifico prodotto italiano, fatto in Italia, che non imita l’estero, ma crea, strizzando l’occhio al passato, il nuovo linguaggio della fiaba al cinema. Quanto è stato importante per gli effetti visivi l’esigenza, espressa da Garrone stesso in conferenza, di creare qualcosa di fantastico che sfociasse nel reale?

E’ un osservazione giustissima e sono contento di avere la possibilità di rispondere. Non abbiamo mai preso come modello le megaproduzioni americane, e non perché non volessimo metterci in competizione con loro o per motivi di budget differenti,  ma proprio perché il nostro gusto estetico ed espressivo era differente.
I nostri modelli di riferimento sono stati alcuni film di Guillermo Del Toro, alcuni aspetti della trilogia del Signore degli Anelli e, come già osservato da Garrone, in parte Games of Thrones. 
Volevamo la pasta lo sporco e la fisicità del mondo reale ma non volevamo, al contempo, rimanere schiacciati da questa scelta. Per questo partendo dalla realtà ci siamo poi presi alcune licenze estetiche. Lo scopo era insomma che ogni “quadro” fosse interessante come immagine e contemporaneamente non troppo distante dalla realtà.
Speriamo che il pubblico apprezzi e percepisca in maniera positiva gli sforzi fatti in questa direzione.

A parte Matteo Garrone, qual è il regista italiano a cui deve di più e con cui lavorerebbe di nuovo volentieri?
Ne vorrei citare due in particolare.
Stefano-BessoniIl primo è Stefano Bessoni, un creativo con la C maiuscola che meriterebbe di trovare molto più spazio di quello che gli conceda la macchina produttiva cinematografica italiana. Ho lavorato con lui per “Imago Mortis”, un progetto visivamente interessantissimo, e successivamente per “Krokodyle”. “Imago Mortis  è stata fra l’altro la prima occasione in cui ho conosciuto Leonardo Cruciano e si potrebbe dire che il nostro sistema di lavorazione con effetti integrati sia nato grazie a Bessoni.
L’altro è Renato De Maria. Ho lavorato recentemente con lui all’interessantissimo e visionario “La Vita Oscena”. Un regista di cui ricordo l’enorme entusiasmo, il gusto artistico e il grande rispetto per la professionalità altrui. Inoltre il suo film essendo un film molto surreale, mi ha permesso per una volta di abbandonare i tecnicismi e di dedicarmi quasi esclusivamente all’aspetto artistico. E’ stato un lavoro più simile alla video-arte che non ai classici vfx per il cinema e, personalmente, è stato anche per me un modo per avvicinarmi al mondo artistico pop che ha portato in Italia mio zio, l’indimenticato gallerista napoletano Lucio Amelio.

Permettetemi di chiudere citando le restanti persone che hanno lavorato ai vfx ma che non sono riuscito a citare nell’articolo in quanto non direttamente coinvolte nelle scene prese in esame:  Miriam Pavese, Giuseppe Motta, Rita Torchetti,  Gianluca De Pasquale, Ubaldo Boni, Alessandro Rullo, Davide Cutrone, Andrea Schiavone, Soryn Voicu. Ci tengo molto a citarli tutti perché sono loro che hanno permesso con il loro amore e la loro dedizione di realizzare questa piccola impresa.

Il logo della Makinarium è una nave volante con dei misteriosi ingranaggi al suo interno.  Mi piace pensare che ognuno di questi ragazzi sia stato uno di quegli ingranaggi. Noi supervisori abbiamo indicato la rotta da seguire ma se anche un singolo ingranaggio non avesse funzionato questo nave non sarebbe arrivata a destinazione.

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