Provate a pensare all’ultima volta che avete visto un film fantasy; un film interamente ambientato in un mondo verosimile ma inesistente popolato di re e regine, draghi e orchi, bestie mitologiche e gigantesche. Mettiamo nel calderone mentale anche le Serie TV, che ormai hanno molto da spartire con il grande schermo, vi torneranno di sicuro svariati titoli alla memoria. Ma cosa succede alzando il livello alla difficoltà quasi estrema? Ovvero: provate a pensare all’ultima volta che avete visto un film fantasy ITALIANO, un prodotto di respiro internazionale che non abbia nulla da invidiare ai più blasonati progetti hollywoodiani.
Nella risposta vi è
la grandezza più esplicita de Il Racconto
dei Racconti, l’idea con la quale Matteo
Garrone è pronto a dare uno strattone violento al
nostro cinema da troppo tempo fossilizzato e piatto. A un mercato
che ormai produce in serie, con stampini alla
Didò, quasi ed esclusivamente commedie di dubbia
qualità. Pellicole sempre uguali con i medesimi volti noti e
destinate ad un mercato lineare: due, tre settimane al massimo in
sala e poi in loop eterno in televisione, su canali anch’essi tutti
identici fra loro. Un sistema che ha annientato la nostra gloriosa
tradizione di genere, basti ricordare gli spaghetti western di
Leone e Corbucci, i polizieschi
degli anni 70 con Tomàs Miliàn, il cinema horror
di Mario Bava o Ruggero Deodato.
Contesti in cui si poteva spingere oltre i confini la fantasia, si
poteva osare, divertire e sorprendere il pubblico. Dopo anni di
piattume, il terremoto Garrone scuote il terreno come un tappeto
impolverato e guarda nostalgicamente al passato, all’allegoria,
alla fiaba, alle origini del cinema stesso, pur essendo allo stesso
tempo proiettato al futuro come nessun altro, in Patria, abbia
fatto negli ultimi anni. Un passato arcaico e fittizio che
risplende nella meraviglia narrativa, nel rigore stilistico del
film, ma dov’è il futuro?
È nei mezzi, nelle nuove maestranze digitali, nel “pensiero quadrimensionale” che trasforma pareti verdi in mondi lontanissimi. L’universo degli effetti visivi che in Italia vive ancora underground senza riuscire ad esplodere in modo costante, mentre all’estero è pane quotidiano (basta andare anche in Francia, senza oltrepassare l’oceano). E non pensate sia questione di impreparazione, di mancanza di mezzi o personale tecnico, esistono decine di studi nostrani giovani e dinamici capaci di realizzare su schermo cose straordinarie, il problema è che nessun produttore offre loro possibilità concrete. Il massimo utilizzo di queste tecniche nel nostro cinema, per ora, è fondamentalmente correttivo: microfoni da cancellare, sfondi da modificare, elementi da spostare, folle da moltiplicare. Come essere alla guida di una Ferrari e rimanere incastrati nel traffico della Tuscolana a Roma, mentre gli altri viaggiano su autostrade internazionali esenti da limiti di velocità.
Il Racconto dei Racconti è un tassello fondamentale del nostro panorama attuale perché finalmente è un passo diverso, probabilmente verso la giusta direzione. Un passo verso la competitività, la speranza di un nuovo corso, di un’intera nuova era digitale e senza limiti creativi. Ovviamente la strada verso la maturità è ancora lunga, le prove generali si portano dietro anche difetti fisiologici da migliorare. Le produzioni, non essendo abituate ad affrontare prodotti colossali da costruire per gran parte su computer, rischiano ora di sbagliare i tempi, di affrettare eccessivamente i lavori e compiere qualche errore. Non tutti gli effetti visivi del nuovo lavoro garroniano sono credibili e bene mescolati nel contesto (si veda la resa di alcune bestie come la pulce che cresce…). È però un prezzo necessario da pagare, è l’imperfezione dei prologhi, è il neonato da lavare con ancora il cordone ombelicale attaccato. Si può soltanto migliorare affrontando ulteriori sfide del medesimo genere, ed è un’opportunità che in questo preciso momento storico ed economico il nostro Paese non può farsi scappare. Una nuova vita da allevare in un mondo ormai sterile, un po’ alla Cuaròn e I Figli degli Uomini, l’ultima speranza prima della (vera) disperazione.