Ryota è un uomo
d’affari di successo, convinto che nulla potrà impedirgli di avere
la vita perfetta che merita per l’impegno e la volontà che ha
investito. Si sente un vincente. Un giorno, però, lui e sua moglie
Midori vengono contattati dall’ospedale: il loro bambino di sei
anni Keita non è il loro figlio biologico. Dopo il parto è avvenuto
uno scambio di neonati. La scabrosa situazione coinvolge anche la
famiglia Saiki, con la quale Ryota, Midori e Keita inaugureranno
una serie di incontri preparatori all’eventuale
“contro-scambio”.
Dopo Nessuno lo
sa, Still Walking, e
I Wish, Hirokazu Kore-eda
torna a raccontare sul grande schermo un’altra storia familiare.
Father And Son è un film a metà tra il dramma e la
commedia, che mostra una leggerezza di superficie costruita e
calcolata che non sacrifica la rappresentazione di una tematica
estremamente delicata. Meritatamente insignito del Premio della
Giuria a Cannes 2013, il sedicesimo lungometraggio di Kore-eda
sviluppa e rende visibile il contrasto tra le due tipologie di
famiglia contrapposte: quella agiata, produttiva e per questo
esposta ai rischi dello stress da competizione e del raggiungimento
degli obiettivi, e quella serenamente umile che occupa i gradini
bassi della scala sociale, dai modi grevi e un po’ naif. I Nonomiya
contro i Saiki. L’attore Fukuyama Masaharu restituisce alla
perfezione la solitudine di Ryota, un padre troppo impegnato a
calcolare la vita per riuscire a viverla e a farla vivere alla sua
famiglia.
Niente male per un
artista passato alla storia come il cantante solista di maggior
successo della musica pop giapponese, che è riuscito a ripetersi
agli stessi livelli anche quando è passato al cinema e,
soprattutto, alla tv. Ma in generale tutto il cast è da lodare, con
una Ono Machiko convincente nella parte di Midori, moglie
devota al marito, che nella seconda parte del film però sacrifica
l’onorabilità orientale della reverenza alla perentoria espressione
del suo pensiero di madre. I coniugi Saiki, interpretati da Maki
Yoko e Lily Franky, sono altrettanto bravi nel
restituire la differenza tra la loro semplicità e genuinità e il
contegno che Ryota ha trasmesso alla sua famiglia. La tenerezza
dell’interpretazione dei bambini, infine, completa il quadro di
un’opera intensa e leggiadra, condotta con l’ormai
proverbiale purezza dello sguardo e l’uso della temporalità filmica
che hanno permesso a Kore-eda di essere conosciuto e apprezzato
anche a livello europeo.
Father And Son è una riflessione accorata sull’essenza della paternità, in bilico tra “natura” e “cultura”, tra la consanguineità e il tempo che padre e figlio passano insieme. In chiusura, però, il film sembra dare una risposta, ma “alla maniera di Kore-eda”, del suo cinema. La riflessione vera va oltre lo schermo, si proietta nel mondo. E lo fa nella maniera più dolce che c’è.
di Maurizio Perriello