Humandroid recensione del film con Hugh Jackman

Uscirà con il titolo di Humandroid (in originale Chappie) il nuovo film di Neill Blomkamp, prodigio del grande schermo che ha fatto gridare al miracolo con il suo magnifico esordio, nel 2009, District 9. Il regista, dopo il mezzo passo falso di Elysium, ci riprova con il genere che gli è caro, la fantascienza, e propone una storia di a metà tra il viaggio di formazione e l’avventura per ragazzi, raccontando una vicenda che nella molteplicità dei temi che tocca trova la sua forza, ma anche la sua debolezza.

 

HumandroidOgni bimbo nasce puro, pieno di meraviglia per il mondo, portando sulle spalle il peso delle aspettative dei genitori e del mondo, ma pronto a imparare, a bere come una spugna tutto il sapere che viene gli viene offerto. Così accade anche il piccolo Chappie, solo che lui non è un bambino come gli altri, lui è speciale.

Humandroid mette di fronte allo spettatore un complesso e stratificato racconto che parla del rapporto tra padre e figlio, tra creatura e creatore, dell’immortalità dell’anima, della responsabilità che l’uomo ha nell’utilizzo della tecnologia, e ancora del condizionamento, della violenza, della prevenzione al crimine, della crudeltà umana. Tutti temi complessi, alcuni filosofici, tutti toccati quasi con leggerezza e poi lasciati in sospeso, senza la possibilità di trovare uno spazio adeguato, una spiegazione, una risposta. Oltre al problema contenutistico, Humandroid risente anche di un problema di linguaggio che per tutta la parte del film è delicato, quasi fiabesco, mentre nel finale esplode, letteralmente, in un tripudio gore di violenza, a volte gratuita, che vira completamente da quello che sembrava il binario e il tono scelti per raccontare la storia.

Nonostante quest’incoerenza di fondo, Humandroid, forse per l’estrema ingenuità con cui si approccia a concetti universali e comunissimi nel cinema di genere, ha una sua gradevole delicatezza che si palesa soprattutto nelle scene in cui il protagonista assoluto è questo androide pensante, che proprio come un bambino, cerca a trovare il suo posto nel mondo, deve combattere contro cattiveria e razzismo, e deve fare le proprie scelte di vita.

Neill Blomkamp non replica il successo del suo primo approccio al cinema, ma realizza un prodotto con una comprovata coerenza estetica e con qualche sbalzo di linguaggio di troppo. Un misurato divertimento che però rischia di non sapere bene a chi rivolgersi.

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