Il passato recensione del film di Asghar Farhadi

il passato recensioneA distanza di due anni dal pluripremiato Una separazione, il regista iraniano Asghar Farhadi torna con Il passato, il primo film francese della sua carriera, in uscita il 21 novembre. La pellicola, presentata a Cannes nel 2013, ha consegnato il premio come migliore attrice alla protagonista Bérénice Bejo (l’eloquente volto di The Artist).

 

Cosa succede quando il passato bussa alla porta dopo un periodo di latitanza rivelando la sua intonsa forza di incidere ancora sui ricordi e i sentimenti? Sono passati quattro anni e, anche se Ahmad (Alì Mosaffa) torna a Parigi dall’ex moglie Marie (Bérénice Bejo) solo per formalizzare il divorzio e scrivere la parola fine al loro passato insieme, si ritroverà soffocato da un guazzabuglio di relazioni frammentarie, scomode verità e sibillini conflitti. Marie adesso sta con Samir (Tahar Rahim) ma la loro è una relazione che vive di fraintendimenti e sensi di colpa, frenata da un passato doloroso, in bilico tra la vita e la morte. E Lucie, la primogenita di Marie, divorata dall’angoscia del suo segreto, proprio non riesce a mandare giù la nuova vita che la madre ha scelto per loro.

il passato recensione poster originaleIl regista iraniano sceglie la casa di Marie come microcosmo in cui far muovere i personaggi, nuove generazioni che scalpitano e vecchie che stagnano, naufragate in relazioni intense e contraddittorie, appollaiate in una dimensione temporale in cui passato, presente e futuro compenetrano. Farhadi lascia sullo sfondo una Parigi periferica, lontana da quella turistica, per circoscrivere la sua storia tra le mura domestiche di una casa in restauro, che nasconde nelle pareti scrostate e nel cigolio dei polverosi infissi, il sapore di un passato di cui non riesce ancora a liberarsi. Un tempo quella casa era nido d’amore di Marie e Ahmad, ora è un focolare allargato, nutrito dallo sguardo innocente dei figli, testimoni critici dominati da una coscienza candida ma interagente.

Il passato, quindi, come via di mezzo tra un presente troppo complicato e un futuro in attesa di essere vissuto, prigioniero di una casa che lo induce a fare i conti con se stesso. La scelta di girare quasi completamente in interni ispessisce il ritratto psicologico della famiglia, consentendone una messa a fuoco accurata e claustrofobica. Ognuno di questi personaggi ha un rapporto ambivalente con il proprio passato: Marie cerca di scansarlo con veemenza per darsi un’altra possibilità, Lucie vi si aggrappa disperatamente provando gioia solo nell’atto di riassaporarlo e Samir lo osserva con sguardo interrogativo in attesa.

Attraverso lenti movimenti di macchina Farhadi ci accompagna nel pathos e nello strazio della casa dei ricordi dove (con grande abilità di scrittura e regia) ci dimostra come guardarsi dentro, ripescare il passato, interrogarlo e trovare il modo di conviverci, sia l’unica strada possibile per andare avanti.

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