La Nave Dolce: recensione del film di Daniele Vicari

La Nave Dolce

Dopo Diaz, Daniele Vicari torna con il suo cinema verità, con La Nave Dolce ma questa volta per parlarci di immigrazione. Nel film l’8 agosto 1991 in un caldo e afoso pomeriggio estivo, la Vlora, un’enorme nave mercantile vecchia e arrugginita, si stagliava all’orizzonte del porto di Bari. A bordo della nave quasi ventimila profughi albanesi stipati e ammassati all’inverosimile fissavano con occhi sgranati e pieni di speranza le coste italiane, la terra promessa.

 

Anche per La nave dolce Daniele Vicari opta per la via documentaristica come strumento per raccontare e raccontarci le drammatiche vicende che, vent’anni fa, ebbero come disperati protagonisti venti mila immigrati albanesi giunti sulle coste pugliesi a bordo di un fatiscente mercantile “occupato” al porto di Durazzo. Come per il tanto discusso Diaz il regista laziale anche in questo film lascia che siano le immagini d’archivio, le immagini reali, a mostrare senza bisogno di troppi orpelli e contorni vari, la drammaticità di un fenomeno con cui l’Italia ha imparato a convivere in quest’ ultima porzione della sua storia recente.

Immagini forti, crude e dirette che raccontano di uomini e donne, giovani e meno giovani, giunti sul porto di Bari sfiniti e assetati, molti completamente privi di forze. Nei loro occhi e nei loro sguardi allucinati la disperata speranza di essere al sicuro e ormai lontani dalla miseria senza soluzione del loro paese, un’Albania appena uscita dalla lunga oppressione sovietica.

La Nave Dolce, il film

Al racconto visivo delle immagini Vicari accompagna musiche coinvolgenti e soprattutto testimonianze postume di chi oggi nel nostro paese si è creato una vita e addirittura una popolarità, ma che al tempo delle vicende narrate era là in mezzo a tanti compatrioti disperati. E’ il caso del ballerino Kledi Kadiu che per abbeverarsi arrivò a bere l’acqua del mare, come il regista Robert Budina che per sfuggire alle guardie si finse moribondo o come Eva Karafili oggi neolaureata in economia. Ma interessante è ascoltare anche le testimonianze di coloro che, da parte italiana, hanno dovuto affrontare nella totale emergenza e impreparazione una situazione assolutamente inedita per il nostro paese. Poliziotti, volontari della Protezione Civile e politici del tempo che raccontano attraverso le loro parole e i loro ricordi, quello che videro e vissero in una delle settimane peggiori e più imbarazzanti della nostra storia recente.

La completezza del filone narrativo ci porta alla conoscenza di aspetti e problematiche che permettono di farsi una ragione alquanto esaustiva del fenomeno “Vlora”. Le incomprensioni tra governo e amministrazione cittadina sulla gestione dell’emergenza, gli inevitabili attriti di carattere politico nonché pratico, la fermezza di Roma che si scontrava con l’istinto solidaristico di coloro che avevano davanti agli occhi quell’esercito di sporchi e affamati uomini in cerca di aiuto. Ma la preziosa testimonianza di chi era in mezzo a quella folla agognante dignità e una vita migliore, ci porta alla conoscenza di deprecabili e ignobili atti di violenza e prevaricazione che le frange più agitate e poco raccomandabili esercitavano ai danni dei loro compatrioti più deboli.

Un film, quello di Vicari, che riporta d’attualità una vicenda di cronaca quasi dimenticata o che forse abbiamo volutamente rimosso dalla nostra memoria. Uno dei primi episodi della lunga e controversa epopea dell’immigrazione con cui ancora oggi il nostro paese deve fare i conti. Di quei venti mila più di diciottomila furono rimpatriati, chi con l’inganno e chi volontariamente, ma per loro, così come per molti altri che arriveranno poi , l’Italia era e rimarrà la terra promessa.

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