Lucy: recensione del film con Scarlett Johansson

Lucy film

Costretta a portare una valigetta carica di droga, la giovane Lucy cade nelle grinfie di alcuni criminali che decidono di usarla come corriere, impiantandogli nell’addome un carico di una sostanza sperimentale. Quando però il sacchetto con la droga si rompe, la giovane subisce un’improvvisa trasformazione, sviluppando poteri fisici e mentali sovrumani. Aiutata da un neurologo e da un poliziotto parigino, Lucy si metterà sulle tracce dei suoi aguzzini, facendo uso delle sue nuove capacità.

 

Dopo le tinte drammatico-biografiche di The Lady e la mafia-comedy Malavita, il re nel pop cinematografico Luc Besson torna sui propri passi rispolverando il gioielllino d’infanzia che fu Nikita e condendolo con una dose di fantascienza sullo stile dei più recenti universi super-eroici della Marvel. Lucy è più di un essere umano, è una macchina di distruzione in grado di usare oltre il 90% delle proprie capacità cerebrali, un misto fra una moderna Wonder Woman e un Rambo con le procaci forme di Scarlett Joahansson che pare non aver nemmeno svestito i panni degli Avengers. Lontano anni luce dal mix di pulp e crudo action psichedelico che lo aveva caratterizzato nei suoi fortunati esordi, Besson sviluppa una storia alquanto povera e per nulla convincente, sia sul piano narrativo che su quello estetico, preferendo gettarsi in uno strabordante uso di effetti speciali da videogioco piuttosto che preoccuparsi di delineare un racconto originale e che non spinga solo sull’auto celebrazione e sul feticismo fumettistico.

LucyUsando come pretesto il tema, nemmeno troppo innovativo, delle potenzialità della mente umana e della sua trascendenza, il regista francese si imbarca in Lucy, un fata-action che rimane alquanto superficiale, così come dimostra lo stesso personaggio di Lucy, privo di qualunque approfondimento psicologico e che non sembra risentire minimante della propria condizione. Il risultato è una Johansson monocolore, ingabbiata in un ruolo che non le permette più di tanto e che insabbia penosamente i risvolti che l’attrice avrebbe potuto dare al personaggio. Morgan Freeman fa da contorno, poiché nemmeno il suo ruolo può spingersi più in la di un semplice scienziato affascinato e spaventato da come l’umanità potrà accogliere la nuova sapienza elargitale dalla novella profetessa Lucy.

Non manca neppure una spocchiosa critica all’auto-distruzione umana e alle sue responsabilità, resa attraverso un giocoso contrappunto di immagini di repertorio in stile documentario naturalistico che apostrofano didatticamente i vari punti della narrazione ma che non vanno più in la di un asettico esercizio di umorismo visivo. Il tutto condensato in un tempo ridottissimo che si fa sentire nella fretta e nell’approssimazione con cui gli eventi si susseguono, senza un minimo di riflessione. Besson tenta di resuscitare il mito dell’eroina invincibile, ma non riesce a uscire dal circolo del citazionismo e manca di aggiornare la sua capacità narrativa ed iconica.

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Matteo Vergani
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Matteo Vergani
Laureato in Linguaggi dei Media all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, studiato regia a indirizzo horror e fantasy presso l'Accademia di Cinema e Televisione Griffith di Roma. Appassionato del cinema di genere e delle forme sperimentali, sviluppa un grande interesse per le pratiche di restauro audiovisivo, per il cinema muto e le correnti surrealiste, oltre che per la storia del cinema, della radio e della televisione.
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