La parte degli angeli: recensione del film di Ken Loach

La parte degli angeli

In La parte degli angeli, il giovane Robbie cerca di liberarsi dalla faida famigliare che lo tiene prigioniero e che lo ha visto entrare e uscire dal carcere diverse volte. La sua compagna, Leonie, è incinta di suo figlio Luke e non appena lo tiene in braccio per la prima volta decide di cambiare vita. Robbie deve scontare la condanna in lavori socialmente utili e qui incontra Rhino, Albert e Mo, ma soprattutto Harry il loro sorvegliante, che li porterà a conoscere il mondo del whiskey. Riuscirà Robbie ad ottenere un’altra opportunità oppure il suo destino è segnato?

 

In La parte degli angeli Ken Loach riflette sulla società contemporanea adottando il meccanismo della commedia caratterizzata da quei personaggi che la società chiamerebbe o reietti o fannulloni. Quindi la penna di Paul Laverty si concentra molto nel restituire i ritratti di giovani che possono sembrarci familiari, figli di una generazione in bilico tra l’incertezza della disoccupazione e situazioni esasperate, che portano i personaggi a cercare inevitabilmente la svolta.

Robbie più di tutti ha bisogno di cambiare, motivato da uno dei sentimenti più nobili, l’amore per suo figlio Luke, mentre la speranza del cambiamento arriva da Harry. Quindi, la sceneggiatura verte sulle domande inconsce riguardo al futuro e alle aspettative che generano quella spinta verso la riscoperta dei sentimenti “buoni”, come la solidarietà, ma anche sulle circostanze fortuite di come può essere un incontro o un talento nascosto. Tutto questo è il vero motore del film, e Loach lo inquadra nell’ottica del riscatto sociale dei giovani di oggi fin troppo stereotipati e punta sul successo della seconda possibilità e sulle inevitabili ricadute. Uno stile di regia pulito, senza estetismi che la fotografia di Robbie Ryan segue in ogni ambiente, togliendo la patina della finzione e restituendo un altro livello di realismo. Il regista britannico è attento ai dettagli mettendoli a confronto nel susseguirsi delle scene. La grande metafora del film, nonché sorta di contraddizione nazionale, è quella del whiskey, una bevanda che non è conosciuta dal suo popolo, ricca di tanti aspetti, profumi e sfumature.

Per arrivare alla genuinità di sentimenti e dell’empatia da parte del pubblico, con La parte degli angeli Loach sceglie la commedia, anche se non è un vero e proprio film comico, poiché non c’è la battuta ad effetto ma un vero percorso emotivo che coinvolge lo spettatore. Sin dai titoli di testa viene introdotta la vena tragicomica del film, mentre entriamo in questa realtà scozzese che è comune a molte città del nord Europa. Molto bravi sono gli attori. Primo tra tutti, Paul Branningam, nel ruolo di Robbie, ha la faccia e la gestualità giusta per convincere e coinvolgere ma soprattutto per provare a essere una persona migliore. Lo bilancia perfettamente Gary Maitland, nel ruolo di Albert, l’attore che sicuramente per comportamenti e battute riesce più a incarnare lo stereotipo locale e a far sorridere nei momenti più opportuni.

La parte degli angeli è una buona commedia, ricca di sfaccettature che viene amalgamata da una delicata linea comica, consigliato a chi vuole gustarsi una piccola ma bella storia. Dal 13 Dicembre nei cinema.

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