La recensione del film The Legend of Tarzan di David Yates con protagonista Alexander SkarsgårdMargot Robbie e Christoph Waltz.

 

Cinema e televisione hanno reso omaggio diverse volte al personaggio di Tarzan, una tradizione che risale ai film muti, fino al classico d’animazione della Disney, passando per i vari adattamenti cinematografici, tra cui il celebre Greystoke con Chistopher Lambert.

Un nuovo racconto su Tarzan perciò sembra, pienamente in linea con le tendenze, un film di troppo. Eppure grazie alla sceneggiatura di Craig Brewer, The Legend of Tarzan racconta un punto di vista inedito sull’uomo allevato dalla scimmie. La nostra storia comincia in Inghilterra, con John Clayton III, Lord Greystoke, pienamente integrato nella società aristocratica londinese, con al suo fianco la bellissima e irrequieta moglie Jane Porter. Quando, con un inganno, Lord Greystoke verrà richiamato nelle foreste dove è cresciuto e la vita di Jane verrà messa in pericolo, la bestia si risveglierà e Tarzan, spogliati i panni del Lord, farà appello a tutte le sue forze animali per mettere in salvo la donna e salvare le popolazioni indigene.

The Legend of Tarzan recensione del film con Alexander Skarsgård

Nella formula del ritorno alle origini risiede il punto di forza di questo ambizioso progetto Warner Bros che si affida alla regia di David Yates e ai volti di Alexander Skarsgård nei panni di Tarzan/Lord Greystoke, Margot Robbie in quelli di Jane Porter e Christoph Waltz in quelli del villain Léon Rom. Completano il cast Samuel L. Jackson e Djimon Hounsou.

Altro elemento di grande efficacia in The Legend of Tarzan è la rappresentazione del lato animale del protagonista, non solo nella forza bruta, nei violenti scontri con possenti gorilla e nella perfetta sintonia con le creature della giungla, ma anche nel rapporto romantico con Jane, il quale diventa, in alcuni momenti, un vero e proprio richiamo animale, una regressione carnale e appassionata di sensuale ricerca dell’altro, un istinto così forte che fonde la passione coniugale tipica umana alla violenza dell’impulso basico alla sessualità.

The legend of tarzanA tutto questo si aggiungono chiaramente i corpi mozzafiato dei due protagonisti e le sequenze d’azione ai limiti dell’impossibile in cui essi sono calati. Il divertimento negli scontri tra buoni e cattivi, nelle volate tra gli alberi con le liane, nelle corse con gli gnu in mezzo all’erba alta caratterizza l’aspetto positivo di un film d’intrattenimento puro.

Dove però The Legend of Tarzan zoppica è nel reparto tecnico, con una regia stentata che non riesce a decidersi tra un realismo che viene meno nella resa scenografica dell’ambientazione ricreata in CGI e il linguaggio cinematografico troppo legato a primi piani ostentati, e una fotografia che trasforma gli habitat naturale in set fotografici, con luci soffuse e messa in scena patinata, in sintonia con i corpi protagonisti del film, complice una computer grafica poco ispirata.

L’intelligenza dell’approccio alla storia viene quindi spazzata via da un’incapacità narrativa di Yates che, oltre ad aver avuto la fortuna di essere stato ben guidato durante la conclusione della saga di Harry Potter, ha ancora molto da imparare per raccontare con le immagini una vicenda epica e coinvolgente.

The Legend of Tarzan

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