Una Separazione – recensione

Una SeparazioneNader e sua moglie Simin hanno ottenuto il permesso di espatrio per loro e la loro figlia undicenne ma Nader non vuole partire. L’uomo sente il dovere di rimanere accanto a suo padre, nonostante la sua malattia, l’Alzheimer, gli impedisca di riconoscerlo. La moglie allora decide di andare via di casa, tornando dai genitori e Nader è costretto ad assumere una donna per badare al padre. La donna, che è incinta, lavora all’insaputa del marito. Un giorno litiga con Nader, perchè si è assentata dal lavoro senza permesso lasciando l’anziano legato al letto. A seguito di una discussione la donna cade dalle scale e perde il bambino.

 

Con una straordinaria semplicità Asghar Farhadi conferma le sue doti di narratore dopo About Elly, e con Una separazione descrive con discrezione e ritmo lento e cadenzato l’introdursi della confusione nelle vite più normali. La differenza di classe, la fede cieca nella religione, la convinzione dei legami e allo stesso tempo dei limiti che un posto ci impone, costriuscono un quadro perfetto, bilanciato da una macchina discreta ma investigativa e da un dialogo serrato, soprattutto nella seconda parte, che coinvolge lo spettatore tenendolo ancorato alla narrazione.

Il film, vincitore dell’Orso d’Oro a Berlino e dell’Orso d’Argento per la migliroe performance maschile e femminile, mostra con didascalica semplicità ma con estrema franchezza la differenza sociale, la percezione del mondo attraverso la fede e l’impossibilità completa di un occhio occidentale di comprendere le dinamiche intime che muovono i personaggi verso una direzione piuttosto che un’altra.

Un finale che sembra quas disturbare lo spettatore irrompe proprio quandoquest’ultimo avrebbe voluto sapere di più, capire come sarebbe finita e saziare quella fame che Farhadi con tanta sapienza è riuscito a stimolare.

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