Il giovane Omar vive
in Cisgiordania, nei territori palestinesi occupati dalle forze
israeliane, e ogni giorno è costretto ad arrampicarsi sul muro che
lo separa dalla sua amata Nadia solo per riuscire a vederla e a
condividere con lei qualche istante rubato. Ma l’amore non è
l’unica causa di turbamento per il ragazzo: lui e i suoi amici
d’infanzia, Tarek e Amjad, sono infatti accusati di aver ucciso un
soldato israeliano ad un posto di blocco e, quando Omar viene
arrestato, il loro rapporto e le loro vite cambieranno per sempre.
L’amicizia e l’amore, la fiducia e la complicità cederanno il posto
alla paura, alla rabbia, alla diffidenza, al sospetto, in una
spirale di ricatti e ritorsioni che lasceranno il segno.
Omar, quasi-Oscar come
Miglior film straniero agli ultimi Academy
Awards (ha perso contro il nostro Sorrentino) e premio
speciale della giuria a Cannes 2013, è stato presentato in
anteprima italiana al festival Middle East Now di Firenze
(9-14 aprile, cinema Odeon e Stensen). Il regista Hany
Abu-Assad, già candidato all’Oscar nel 2005 con Paradise
Now, torna a parlare della realtà palestinese con i suoi
conflitti e le sue contraddizioni, ma stavolta lo fa attraverso una
storia d’amore e amicizia, di fiducia e tradimento. Una piccola
storia di vita vissuta per raccontare la Storia, quella da tg. Come
ha dichiarato lo stesso autore, non si tratta di un film “politico”
in sé, perché al centro della narrazione ci sono le vicende
personali (perfino intime) dei giovani protagonisti, ma diventa
inevitabilmente tale in quanto prodotto culturale che mostra come
la vita quotidiana del singolo possa essere condizionata dagli
eventi esterni, assumendo quindi un ruolo “politico”, appunto.
L’unica vera arma in mano ai palestinesi è quella di “fare
resistenza culturale” e un film come Omar forse potrà
rivelare agli occupanti come l’unica soluzione possibile per
risolvere il conflitto sia quella di lasciare liberi i palestinesi.
Una storia d’amore, dicevamo. In effetti, le intenzioni del regista
erano proprio quelle di raccontare questo sentimento a modo suo, e
dovendo scegliere fra un amore alla Romeo e Giulietta
e uno stile Otello, ha optato per il Moro. Questo
perché l’amore raccontato da Shakespeare nella celebre
tragedia è, a detta di Abu-Assad, “più maturo”: perché è un amore
“che può finire anche con l’uccisione dell’amore stesso”, un
elemento sicuramente più “realistico” e con cui possiamo
rapportarci più facilmente nella vita vera. E, come Otello,
Omar dovrà fare i conti col dubbio, col sospetto, un tarlo che si
insidierà in lui per non abbandonarlo più. È difficile amare,
fidarsi, essere sinceri perfino con le persone a te più care quando
vivi costantemente sotto osservazione, minacciato, imprigionato in
quella che dovrebbe casa tua.
Il senso di pericolo è incessante, la
precarietà della vita di Omar è palpabile, appesa com’è a quella
corda su cui il giovane si arrampica tenacemente giorno dopo
giorno, per oltrepassare il muro che lo separa dalla ragazza che
ama e dividere qualche momento con lei, in attesa di un futuro
migliore. Ogni emozione, ogni esitazione passa attraverso lo
sguardo intenso del protagonista (l’attore Adam Bakri,
meraviglioso), ogni cosa è filtrata dai suoi occhi scuri e
profondi, sempre illuminati da una speranza – dalla gioia del suo
amore per Nadia – e, tuttavia, incorniciati in un volto spesso
tumefatto, testimonianza di quella realtà con sui i suoi sogni e le
sue aspirazioni di ragazzo devono necessariamente scontrarsi. Una
realtà dura e fredda come il cemento del muro che divide i
territori palestinesi da Israele, soffocante come la polvere che si
alza ogni volta che Omar è costretto a fuggire (e gli capiterà di
frequente) per mettersi in salvo. Un film che toglie il respiro
tanto al suo protagonista quanto al suo pubblico, per lasciarlo
definitivamente senza fiato con l’ultimo fotogramma. Ci auguriamo
di vederlo presto anche nelle sale italiane. Intanto, chi si trova
nei pressi di Firenze, può vedere Omar in replica al
cinema Stensen sabato 12 aprile alle 22.30. Buona visione.