District 9: recensione del film con Sharlto Copley

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Quando uscì nel 2009, District 9 fu presentato come una ventata d’aria fresca nel genere fantascientifico. Prodotto da Peter Jackson e diretto dal sudafricano Neill Blomkamp al suo debutto cinematografico, il film univa elementi di La Cosa di Carpenter, suggestioni da Cloverfield e una sensibilità spielberghiana nell’approccio al tema dell’incontro con l’altro. Ambientato a Johannesburg, città natale del regista, District 9 prende le mosse da uno scenario distopico che affonda le radici nella storia sudafricana dell’apartheid.

Blomkamp costruisce la sua opera alternando reportage, interviste e fiction, conferendo alla pellicola un realismo documentaristico che, almeno nella prima parte, rappresenta la sua intuizione più originale. Attraverso questa scelta stilistica, il film offre un approccio più crudo e diretto al tema dell’alieno, trasformandolo da invasore in emarginato sociale, privo di diritti e confinato in un ghetto.

Trama: alieni clandestini a Johannesburg

Un’enorme nave spaziale si blocca sopra i cieli di Johannesburg. A bordo, centinaia di migliaia di creature insettiformi, deboli e malnutrite, vengono soccorse e confinate dalle autorità sudafricane in un campo profughi chiamato District 9. Lì vivono in condizioni disumane, sfruttate dai criminali locali e guardate con sospetto dalla popolazione.

Il governo affida a una corporazione privata, la MNU, il compito di sgomberare il campo e trasferire gli alieni in una nuova zona ancora più isolata. Durante l’operazione, un impiegato della MNU, Wikus van de Merwe (Sharlto Copley), entra accidentalmente in contatto con una sostanza aliena che ne provoca una lenta trasformazione. Costretto a fuggire dai suoi stessi colleghi, Wikus si allea con un alieno e il figlio, determinati a rimettere in funzione la tecnologia che permetterà loro di tornare a casa.

Lo stile documentaristico e la regia di Blomkamp

Il punto di forza di District 9 sta nel suo stile ibrido. La prima parte si sviluppa come un reportage televisivo, con interviste, filmati d’archivio e telecamere a spalla che simulano un linguaggio da documentario. Questo espediente dona al film una forte impronta di realismo e rende più credibile l’assurda convivenza tra uomini e alieni.

Con il progredire della trama, lo stile documentaristico lascia spazio a una narrazione più convenzionale, fatta di azione, inseguimenti e scontri a fuoco. Qui Blomkamp dimostra comunque abilità tecnica, orchestrando sequenze spettacolari con un budget relativamente contenuto. Gli effetti visivi, curati con grande attenzione, riescono a rendere credibili gli alieni, soprannominati “gamberoni”, senza mai stonare con l’atmosfera cruda del film.

Temi sociali: dal razzismo all’emarginazione

Al di là della componente fantascientifica, District 9 è anche una riflessione sulla società contemporanea. Il ghetto degli alieni diventa metafora dell’apartheid, del razzismo e della discriminazione verso gli immigrati e i più deboli. L’uso dei boss nigeriani come antagonisti secondari ha suscitato polemiche, ma Blomkamp ha dichiarato di essersi ispirato a dinamiche reali della Johannesburg in cui è cresciuto.

La parabola di Wikus, uomo mediocre e conformista trasformato dalle circostanze in un ibrido tra umano e alieno, è il cuore emotivo del film. La sua alleanza con il padre extraterrestre e il figlio mette in scena un percorso di redenzione che mescola umanità e tragedia, mostrando come il “diverso” diventi occasione di crescita.

District 9 tra intrattenimento e limiti di originalità

Pur con tutte le sue qualità, il film non è privo di difetti. L’andamento della seconda parte diventa più convenzionale, rifacendosi a schemi tipici della fantascienza hollywoodiana, con svolte narrative prevedibili e una certa perdita di tensione rispetto all’inizio. Chi si aspettava un nuovo paradigma del genere sci-fi potrebbe restare deluso, soprattutto se abituato alle atmosfere cupe e originali di capisaldi come Alien o Predator.

Nonostante ciò, District 9 resta un’opera di esordio notevole, capace di fondere intrattenimento e riflessione sociale. Ha aperto la strada a Blomkamp, presentandolo come uno dei registi emergenti più promettenti del cinema di fantascienza contemporaneo.

District 9
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Sommario

District 9 è un debutto sorprendente: Neill Blomkamp unisce realismo documentaristico e azione sci-fi, riflettendo su razzismo e emarginazione in chiave fantascientifica.

Redazione
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