L’ultimo film dell’acclamato sceneggiatore e regista Jordan Peele, Nope (qui la recensione), si è affermato come uno dei suoi lavori più intriganti. Come Scappa – Get Out e Noi prima di lui, anche questo film gioca con il genere in modi molteplici e carichi di significato. Ciò che lo distingue, tuttavia, è quanto sia costruito attorno e interessato alla storia del cinema stesso. Peele dimostra di essere sia iper-consapevole della storia dell’industria sia scettico sul suo impatto. Questo crea una qualità autoriflessiva che, pur essendo un blockbuster estivo godibile, apporta profondità alla sua narrazione.
In superficie, racconta di un gruppo di persone coinvolte in una storia di fantascienza con sfumature horror. Ma se si guarda più a fondo, si vedrà che è un film che parla del processo di creare per un pubblico e dell’impatto che la ricerca dello spettacolo ha sulle persone coinvolte. È un film ricco e malinconico che in questo articolo andremo ad approfondire, concentrandoci in particolare sul finale, il suo significato e cosa ci lascia Nope al termine della visione.
La spiegazione di Nahum 3:6 e Gordy’s Home
Per capire cosa il film vuole comunicare, occorre prima partire dall’inizio. Nope si apre con un versetto biblico, Nahum 3:6, che recita: “I will cast abominable filth upon thee, and make thee vile, and will set thee as a gazingstock” (Ti ricoprirò di immondizia abominevole, ti renderò vile e ti renderò oggetto di scherno). È in un certo senso una dichiarazione di intenti per il film, che stabilisce un pessimismo sulla natura dello spettacolo e che poi passerà il resto del tempo a rivelarlo. Segue il suono di una sitcom e una risata registrata sotto, precisamente una sit‑com degli anni ’90 in cui un personaggio principale si chiama Gordy ed è interpretato da uno scimpanzé.
Scopriamo poi che le cose sono andate molto male sul set, dove vediamo l’animale aver perso il controllo aver mortalmente attaccato tutti sul set. C’è però una scarpa irrealisticamente in posizione verticale, mentre la scimmia si guarda intorno prima di fissare direttamente la telecamera. Poi saltiamo avanti nel tempo fino all’epoca in cui è ambientato gran parte del film. È importante che non dimenticare questo momento cruciale del film, chiave per capire praticamente tutto quello che segue.
La minaccia aliena
Incontriamo poi Otis jr., detto OJ (Daniel Kaluuya), che lavora in una fattoria insieme a suo padre Otis Haywood Sr. (Keith David). La loro è un’azienda di famiglia con una tradizione che risale a decenni prima, fornendo cavalli per i film di Hollywood. Mentre padre e figlio svolgono i lavori quotidiani, sentiamo un suono strano e oggetti cominciano a cadere dal cielo. Da chiavi a monete, questi oggetti sono apparentemente innocui ma capaci di diventare proiettili mortali data la velocità con cui cadono in Terra. Infatti, sebben OJ rimanga illeso, Otis no. È stato colpito da un nichelino, che gli ha provocato una ferita che lo ha dissanguato e ucciso.
Suo figlio rimane così a gestire da solo l’azienda in difficoltà. Sei mesi dopo OJ è sul set con un cavallo di nome Lucky davanti a un green screen. È nervoso, in attesa dell’arrivo della sorella più sicura di sé, Emerald (Keke Palmer). Quando arriva, pronuncia il discorso che OJ aveva cercato di fare sulla loro storia familiare. Spiega che quando nacque il primo filmato in movimento, ritraeva un fantino sconosciuto su un cavallo: quello era il loro tris‑tris‑tris‑nonno. Nonostante questo discorso, vengono licenziati dopo che Lucky si spaventa del proprio riflesso e calcia all’indietro verso un altro lavoratore.
Il cavallo vero viene così sostituito da uno CGI e i fratelli vengono messi da parte senza reciproco rimorso dall’industria che la loro famiglia ha contribuito a costruire. Questo è solo l’inizio di ciò che Peele ha in mente. È lì che capiscono gradualmente che non sono solo stati i detriti caduti da un aereo a uccidere loro padre, ma qualcosa non di questo mondo. Determinano che si tratta di un UFO nascosto tra le nuvole e decidono di catturare un’immagine perfetta di esso, lo “scatto Oprah” come lo chiamano. Tuttavia capiscono presto che è più facile a dirsi che a farsi: quel misterioso oggetto spegne ogni fonte di energia su cui sorvola.
Anche quando chiedono aiuto a Angel Torres (Brandon Perea), un curioso dipendente di Fry’s Electronics, sembra che non possano farcela. Scoprono però che non è un’astronave, ma un predatore a tutti gli effetti, che da mesi usa la loro terra per cacciare prede. Tutto culmina quando il loro vicino tenta di sfruttare la creatura nel suo show: è Ricky ‘Jupe’ Park (Steven Yeun), in realtà la star sopravvissuta alla furia dello scimpanzé visto all’inizio. Ricky ha passato la vita inseguendo la fama derivata da quel trauma. Il suo stesso desiderio di spettacolo è però la sua rovina, poiché nel cercare di trasformare la creatura in un’attrazione, viene invece divorato da ess insieme alla sua famiglia e al pubblico.
Ottener lo “scatto Oprah”
Fuggendo dalla fattoria per riorganizzarsi dopo essere quasi morti quando la creatura sorvola la loro casa e rovescia addosso sangue da un pasto recente, il trio formato da OJ, Emerald e Angel torna con un piano più articolato. Decidono di attirarla usando OJ come esca e dei pupazzi gonfiabili che si sgonfiano quando lei vola sopra per rintracciarla. Inoltre, grazie ad alcune osservazioni intelligenti di OJ, capiscono che non possono guardarla direttamente perché è ciò che la attira. Decidono allora di usare una cinepresa analogica e l’aiuto del veterano direttore della fotografia Antlers Holst (Michael Wincott), che avevano cercato di reclutare in precedenza.
Funziona quasi tutto, anche se Antlers non si accontenta e vuole lo scatto perfetto. Di conseguenza, viene risucchiato dalla creatura e muore nella sua ricerca della perfezione. Angel rischia di essere inghiottito ma riesce a salvarsi avvolgendosi nel filo metallico per restare ancorato. OJ attira poi via la creatura così che Emerald possa fuggire al vicino parco divertimenti di Ricky dove lui e tutti gli ospiti erano già morti. Con un colpo di genio, lei rilascia un gigantesco palloncino per attirare la creatura abbastanza vicino da scattare una foto usando una fotocamera in un pozzo dei desideri per turisti.
Lo inquadra perfettamente e riesce a immortalarla in tutto il suo splendore. La creatura esplode poi dopo aver ingoiato il palloncino e OJ riesce così a sopravvive sfuggendo al pericoloso alieno, nel frattempo mostrato in tutta la sua particolare e terrificante natura. Le sue sembianze, infatti, non ricordano nulla di già visto al cinema. L’ultima inquadratura è così la stampa dell’immagine che i fratelli hanno tanto faticato a ottenere, ora memorializzata per noi, pubblico del film e del loro mondo, da vedere con i nostri occhi.
Rischiare tutto per un’immagine perfetta
Il finale è dunque una vittoria, che è però anche una tragedia più grande. Il film è estremamente divertente, ma intrecciato in tutto c’è il senso che chi cerca di catturare un momento spettacolare per un pubblico rischia di perdersi. Ricky faceva parte di uno show finito in violenza orrenda, ma conserva memorabilia di quell’esperienza e dà la vita per cercare di rivivere un altro momento di gloria. Antlers non può farne a meno: rischia tutto per un altro scatto perfetto. OJ ed Emerald hanno potuto salvarsi, eppure sono stati attratti dal desiderio di creare qualcosa che nessuno avesse mai visto prima. Lo realizzano ed escono vittoriosi, ma tutto ha un costo elevato.
Hanno perso il padre e quasi la vita, tutto in nome di quel momento di riconoscimento. È più di un business: è un desiderio di lasciare un’eredità, qualcosa che Peele suggerisce con delicatezza. I fratelli non dichiarano molto le loro intenzioni, scherzano tra loro, ma ogni decisione nella conclusione mostra che non sono poi così diversi da Ricky o Antlers. Il fatto che tutti e tre rimangano in questa impresa malgrado quello che devono affrontare è ciò su cui il film si concentra. Ogni personaggio sta in qualche modo cercando disperatamente di ritagliarsi un posto. Rivolgendosi a un pubblico che può abbandonarli senza un secondo pensiero, anche mentre danno tutto per loro.
Il titolo stesso, Nope, esprime il loro impulso iniziale a fuggire dal pericolo. Eppure, il desiderio di vederlo con i propri occhi e di essere visti per le proprie conquiste supera tutto il resto. Non si tratta davvero degli elementi di fantascienza, anche se sono ciò che rende il film così divertente. È solo una metafora del desiderio incessante di catturare qualcosa che nessun altro ha; di lasciare il proprio segno nel mondo a qualunque costo. È per questo che l’immagine finale è profondamente triste. Anche in una vittoria conquistata con fatica, hanno attraversato inferni per ottenere quell’unico fotogramma.
Cosa ci lascia il film Nope
Nope è dunque molto più di un semplice film di fantascienza con momenti horror: è una riflessione potente sull’ossessione contemporanea per lo spettacolo, la visibilità e la memoria visiva. Jordan Peele ci mostra come il desiderio di essere visti, riconosciuti o ricordati possa diventare distruttivo, spingendo individui a rischiare tutto per un’immagine perfetta. Il film ci interroga su cosa siamo disposti a sacrificare per lasciare un segno, anche fugace, nel mondo. Tra critica al sistema dell’intrattenimento e introspezione sul trauma, Nope ci lascia dunque con una domanda scomoda: quanto costa davvero catturare lo “scatto perfetto”? E ne vale la pena?
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