Nel secondo giorno della Festa del Cinema di Roma, la regista e sceneggiatrice inglese Sally Potter è arrivata all’Auditorium Parco della Musica per presentare il suo film The Party, un dramma comico in bianco e nero, che ha per protagonisti Kristin Scott Thomas, Timothy Spall, Bruno Ganz, Patricia Clarkson, Emily Mortimer, Cherry Jones e Cillian Murphy.
Come mai ha deciso di fare
questo film in bianco e nero?
In un certo senso il bianco e nero è coloratissimo, perché
forza l’immaginazione a perdersi nelle ombre e nelle luci e
riempirle con sentimenti. Il bianco e nero è alle radici del cinema
e inoltre non è vero che la gente non guarderebbe le cose in bianco
e nero, perché sempre più registi giovani creano video musicali in
bianco e nero perché pensano sia più eccitante.
Una delle cose più
interessanti del film è questo delicato equilibrio tra il dramma e
la commedia, quanto è difficile a livello di scrittura e quanto
invece magari influisce l’armonia sul set e complicità tra gli
attori nel trovare il tono giusto?
Il 95% della commedia è nella scrittura e tutti gli attori
possono confermare: se non hanno il testo è un altro tipo di
commedia. Il testo ti da il senso, il sub-testo, il ritmo e il
significato e solo allora gli attori possono, attraverso il corpo,
portare in scena il tempismo comico. Si può dire che questa sia una
commedia fisica, con il cuore di una tragedia. Tecnicamente è stata
una sfida a livello di scrittura, perché devi immaginare come
reagirà il pubblico a questi tempi comici, ma devo ammettere che
lavorare con gli attori su questo testo è stata una vera gioia,
abbiamo riso tantissimo insieme.
Ha filmato in ordine
cronologico, come ha lavorato con gli attori?
Ho lavorato individualmente con ogni attore. Sono andata da
loro e abbiamo iniziato insieme a lavorare lentamente e nei
dettagli sul testo, sull’aspetto, sulla scena, sulla voce, sui
movimenti, su tutto… Quindi quando è arrivato il momento di
incontrarli tutti insieme, erano già molto sicuri a livello
individuale sulla loro parte. Abbiamo fatto solo due o tre giorni
di prove e poi due settimane di riprese: una cosa davvero veloce e
intensa.
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Il tema centrale della
storia è sembrato “la verità”, è corretto?
Sì, esatto. La verità è al centro e tutto gli gira intorno e
anche quando le persone pensano di dire la verità, gradualmente
realizzano che stanno omettendo qualcosa oppure scoprono qualcosa
che non sanno, perché si trovano in situazioni di crisi e si
comportano in maniera diversa rispetto alla loro precedente
immagine di loro stessi. In questa storia si tratta di capire quale
sia il divario tra chi penso di essere e quello che effettivamente
faccio in un momento di crisi.
Nonostante sia stato scritto
molto prima, questo film riflette anche sulla situazione Brexit
rispetto alla politica e la società: secondo lei quanto di quegli
aspetti ci sono nel film?
Il referendum sul Brexit in realtà è avvenuto proprio a metà
delle nostre due settimane di riprese e posso dirle che erano tutti
molto tristi la mattina dopo sul set perché il cast e la crew erano
estremamente internazionali, l’esempio vivente di una vita senza
confini. Designer argentini, troupe del suono francesi,
cinematografi russi, un editor danese, direttore delle luci
irlandese… e potrei andare avanti con la lista. Per noi quello era
il modo giusto di essere e di lavorare, mentre con la Brexit si va
esattamente nella direzione opposta. Isolazione invece che
cooperazione. Quando ho iniziato a scrivere non c’era discussione a
riguardo, è tutto uscito dal niente, come un terremoto. Quindi
forse mentre scrivevo sentivo inconsciamente questa sensazione di
imminente divisione nella cultura che nella storia si è tradotta in
divisione tra gli individui.
Il film è molto attuale e
tratta anche l’argomento delle donne e il potere: qual’è il suo
commento a riguardo, anche alla luce dei fatti di cronaca
recenti?
Intende il caso Harvey Weinstein? Quello che è accaduto è
qualcosa che è diventato visibile ma prima era semplicemente
nascosto, ma accade ovunque, non solo nel mondo del cinema. Non
solo tra un potente produttore e un attore che ha bisogno di un
lavoro, ma ovunque ci sia uno squilibrio di potere. Tra uomini e
donne, ma anche tra uomo e uomo. Ad esempio lui aveva anche la
reputazione di essere molto severo con altri uomini nella compagnia
ed anche questo non veniva raccontato molto. Anche questo fa parte
di quella cultura che salva spesso i bulli, ma anche quello è solo
un microcosmo di un più grande situazione politica dovuta ad uno
squilibrio di potere in uno sistema patriarcale e capitalista, dove
la gente viene bullizzata per fare soldi o altro. Questa situazione
di Harvey Weinstein probabilmente sta però portando al pubblico a
capire la nozione che non è ok umiliare o molestare qualcuno, non è
assolutamente un modo giusto di comportarsi e questa è una cosa
buona.