Il rito: dopo
quattro anni di seminario Michael Kovak ha una crisi, sente che la
sua fede non è così solida come dovrebbe essere per un sacerdote.
Così decide di dimettersi ma improvvisamente il vescovo gli chiede
di partecipare ad un corso di esorcismo che si svolge a Roma.
Incuriosito ed anche molto scettico
Michael accetta e si trasferisce nell’Ateneo Pontificio Regina
Apostolorum. Michael non crede negli esorcismi né al fatto che il
demonio possa manifestarsi nella realtà quotidiana…..ma dopo aver
conosciuto Padre Lucas il giovane sacerdote si ricrederà!
Diretto da Mikael Hafstrom “Il
rito” ci ripropone il tema degli esorcismi, ancora una volta con la
contrapposizione tra scetticismo e fede, tra il giovane sacerdote
che non crede alle possessioni e l’anziano sacerdote che invece ha
molta esperienza e ne ha viste di tutti i colori. Niente di nuovo
insomma, a parte la magnifica interpretazione del grande Anthony
Hopkins.
Rango: Rango è
un giovane camaleonte che ha sempre vissuto dentro un terrario con
la convinzione di essere un attore! Durante un viaggio in macchina
verso il Messico, un imprevisto lo fa balzare fuori dal terrario e
dall’automobile lasciandolo da solo in mezzo al deserto del Mojave.
Non sapendo cosa fare, Rango inizia a camminare sfuggendo ai
pericolosi animali del deserto finché non giunge a Polvere, una
cittadina western dove vive una piccola comunità di animali che
però non amano molto gli estranei. Per cercare di farsi accettare
Rango decide di aiutare la comunità a risolvere un grande problema:
far tornare l’acqua. Solo diventando un eroe Rango potrà
conquistare i suoi nuovi amici…ma non sa che i pericoli sono
molti!!
Gore Verbinski insieme alla
Industrial Light and Magic girano per la prima volta un film
d’animazione….e il risultato è ottimo. Diverso da tutti gli altri
film Pixar “Rango” è un vero e proprio western, con inquadrature in
primo piano, dove domina il deserto polveroso, dove ci sono luoghi
da conquistare e dove ci sono pistoleri. Ovviamente non mancano le
riflessioni sulla vita anche se sono equamente inframezzate da
battute e gag divertenti.
Ramona e Beezus:
Ramona Quimby è una ragazzina piena di energia, con un’infinita
immaginazione e con un forte spirito d’avventura. Ha una sorella
maggiore, Beatrice che però lei chiama Beezus, che non la sopporta
molto anzi è infastidita da tutti i guai che combina Ramona,
soprattutto quando cerca di conquistare il ragazzo che le piace,
Henry. Nonostante questo però Beezus dovrà ricredersi sulla sorella
quando Ramona cercherà a tutti i costi di salvare la casa della
famiglia…
Elizabeth Allen dirige questa
commedia per ragazze ispirandosi ai romanzi di Beverly Cleary, ci
racconta la spensierata vita di una ragazzina che non vuole
adattarsi alle regole e al modo di pensare degli adulti, che
combina sempre mille guai e che non sa ancora nulla della vita.
Viene descritta l’infanzia come tale, senza troppi ragionamenti
complessi e irreali per dei bambini, come invece si vedono in molti
altri film.
Holy Water: nel
paesino irlandese Killcoulin’s Leap vivono quattro amici scapoli e
senza prospettive per il futuro. Di sicuro questa mancanza di
prospettive non è solo colpa loro ma anche del paesino in cui
vivono dove il lavoro scarseggia, le donne sono poche, la mentalità
delle persone è chiusa e bigotta, per non parlare della vita
notturna che è praticamente inesistente! Perciò un giorno uno di
loro decide di andarsene, di fuggire per realizzare i suoi sogni.
Prendendo la palla al balzo gli altri tre decidono di seguirlo….ma
come fare senza soldi?? I quattro decidono di procurarsi il denaro
rubando il carico di un furgoncino che trasporta Viagra, la famosa
pillola per le curare le disfunzioni erettili, per poi rivendere il
prodotto ad Amsterdam. Loro pensavano si trattasse di un piccolo
carico di poco valore, invece il bottino ammonta a ben 63 milioni
di dollari….perciò la Pfizer, la casa produttrice del Viagra,
decide di inviare direttamente dall’America una squadra della SWAT
per catturare i rapinatori! Presi dal panico i quattro amici non
sanno cosa fare, l’unica cosa a cui riescono a pensare è quella di
mettere momentaneamente la refurtiva nel pozzo della sorgente della
città detto “dell’acqua santa”. L’imprevisto però non capita mai
solo, oltre ad avere la SWAT alle calcagna i quattro
combinano un guaio non rendendosi conto che mentre calano il Viagra
nel pozzo le scatole si rompono facendo sciogliere il farmaco
nell’acqua….ben presto la tranquilla popolazione di Killcoulin’s
Leap sarà travolta da un’ondata di godimento!
Tom Reeve dirige questa
esilarante commedia sopra le righe. La combinazione tra un paesino
molto religioso e la magica pillola è di sicuro molto curiosa, come
curiosi e divertenti sono i protagonisti del film con le loro
battute sarcastiche e le situazioni imbarazzanti in cui si
cacciano.
I ragazzi stanno
bene: Nic e Jules sono una felice coppia gay che ha messo
al mondo due bambini, Joni e Laser. Tutto procede benissimo, i
ragazzi sono sereni così come le loro due mamme. Quando però Joni
sta per compiere diciotto anni e lasciare la casa per andare al
college, il fratello minore Laser le chiede un grande
favore…..andare alla banca del seme dove sono stati concepiti e
scoprire chi è il loro papà biologico. Joni accetta e poco dopo
riesce a scoprire che il loro padre è Paul, un dongiovanni
proprietario di un ristorante. Ovviamente i due ragazzi vogliono
conoscere meglio il loro padre, così quando le due mamme scoprono
tutto sono costrette a far entrare Paul nel quadro
familiare…..tutti i loro rapporti dovranno essere ridefiniti
prendendo in considerazione Paul! Lisa Cholodenko insieme a
Julienne Moore, Annette Bening, Mia Wasikowskae Josh
Hutcherson hanno dato vita ad una famiglia particolare si, ma molto
felice e molto stabile. Questo film ci mostra un nucleo familiare
non convenzionale, con due mamme e i loro figli, ma tutto dentro
una normalità e un’ordinarietà che sembra non differire da tutte le
altre coppie eterosessuali. Senza nessun eccesso vengono quindi
esaminati i rapporti tra genitori e figli.
Carissima me:
una brillante carriera, un uomo che la ama, molto denaro e un po’
di potere…..questa è la vita di Margaret. Tutto però cambia quando,
il giorno del suo quarantesimo compleanno, un anziano notaio le
spedisce la prima di una serie di lettere che lei stessa aveva
scritto quando aveva sette anni. Le lettere sono un specie di
promemoria che la piccola Margaret scrisse per la Margaret adulta
così da impedire la perdita della ragione e le priorità della vita.
Rileggendole pian piano Margaret riscopre un passato che aveva
dimenticato e si accorge di essere diventata una donna diversa da
quella che sognava da piccola. Yann Samuell riporta sul grande
schermo Shopie Marceu, sempre bellissima, nei panni di una donna
forte e dedita al lavoro che però ha perso se stessa e i suoi
sogni.
Gangor: Upin è
un fotoreporter impegnato in un reportage che ritrae le condizioni
delle donne nei regimi tribali. Quando si reca in Purulia, nel
Bengala Occidentale, rimane affascinato dalla bella Gangor che
fotografa mentre allatta al seno il suo bambino. La foto finisce
sulle prime pagine dei giornali provocando grande scalpore nella
popolazione tribale. A rimetterci è Gangor che viene isolata e
sottoposta alla violenza della polizia locale. Upin pieno di sensi
di colpa decide di aiutarla e ben presto anche le altre donne si
mobiliteranno per denunciare le violenze subite. Italo
Spinelli affronta un tema importante con questo film: le condizioni
di vita, la sottomissione, le violenze che ogni giorno le donne che
vivono in popolazioni tribali devono subire. Purtroppo ancora oggi
esistono realtà del genere e purtroppo le antiche tradizioni non
vengono abbandonate. La stampa in questo caso è vista sia come
mezzo pericoloso che disturba certi equilibri e che può generare
molti mali, sia come mezzo di informazione che ritrae realtà molto
spesso ignorate dalla maggior parte della popolazione
mondiale.
Tutti al mare:
Maurizio, un romano doc, gestisce un chiosco, ad Ostia, insieme
alla madre, una donna severa che gli gestisce la vita nonostante
stia su una sedia a rotelle. Maurizio nelle sue giornate deve fare
i conti con una varia umanità che entra ed esce dal suo chiosco che
la sera trasforma in un ristorante di lusso, Chez Maurice. I
clienti sono un po’ stravaganti: si passa dallo iettatore, al
suicida che Maurizio incita ad uccidersi due chioschi più lontano,
un cleptomane affetto da amnesia, Sara e Giovanna una coppia gay di
hostess e molti altri. Ad aggiungersi a tutto questo ci sono anche
gli extracomunitari che vengono dal mare in cerca di
fortuna. Matteo Cerami insieme a Marco Giallini, Ilaria
Occhini, Vincenzo Cerami e Gigi Proietti mettono in scena una parte
di umanità varia e molto particolare con tutti i suoi difetti e
problemi.
Le stelle
inquiete: è il 1941 e la filosofa Simone Wiel di origine
ebraica è costretta a lasciare il Sud della Francia a causa delle
persecuzioni razziali. Decide così di rifugiarsi nella campagna
marsigliese, dal suo amico Gustave Thibon, il “contadino filosofo”,
e sua moglie Yvette. Tra i tre nasce una profonda amicizia che
sfocia poi in amore. Ma nonostante la gelosia e i vari problemi, la
gioia di ridere e amarsi è troppo grande ed evita di rovinare
tutto.
Emanuela Piovano ci racconta una
parte di vita della famosa filosofa Simone Weil, che ha studiato il
cristianesimo, il comunismo, che ha combattuto contro le
ingiustizie della società moderna per migliorare le condizioni di
vita dei lavoratori, sperimentando anche in prima persona la catena
di montaggio lavorando alla Renault come fresatrice.
La CBS Films ha acquisito i diritti
di distribuzione per il remake di Gambit, film del 1966
con Michael Caine e Shirley
MacClaine. Il film in questione, basato su una
sceneggiatura riadattata dei Fratelli Coen e
diretto da Michael Hoffman, ha ora i due
protagonisti: sono Colin Firth e Cameron
Diaz.
Così come i loro personaggio nella
Saga di Harry Potter, pare che Daniel Radcliffe e Gary Oldman
abbiamo un legame speciale nato appunto durante le riprese di
Harry Potter e il prigioniero di Azkaban. “Per
me recitare accanto a Gary nel quinto film è stato molto
impegnativo, forse per un mio desiderio infantile di volerlo
continuamente impressionare” ha detto ad MTV Daniel
nell’estate del 2009.
Neri Parenti ci
propone Amici miei – come tutto ebbe inizio, il
prequel di un famosissimo film del compianto e di recente
tragicamente scomparso, Mario
Monicelli:Amici miei, del 1975. Si intitola
appunto Amici miei – come tutto ebbe inizio e
uscirà il prossimo 16 marzo.
Per questo lungometraggio, Parenti
si affida a una squadra di attori che almeno sulla carta sono una
garanzia di divertimento e spensieratezza: Christian De
Sica,
Michele Placido, Giorgio Panariello, Paolo Hendel e Massimo
Ghini. Del resto, il film è ambizioso, perché riprende un
lungometraggio di successo degli anni ’70, figlio di un grande
regista che bene ha saputo raccontare l’Italia tra gli anni ’50 e
gli anni ’70.
Le burla della compagnia di
“toscanacci” si svolge questa volta nella Firenze della fine del
1400, alla corte di Lorenzo De’ Medici. Duccio (Michele
Placido), Cecco (Giorgio Panariello),
Jacopo (Paolo Hendel), Manfredo (Massimo
Ghini) e Filippo (Christian De Sica) sono
protagonisti di scherzi e vicende vissute nell’intento di
prolungare lo stato felice della giovinezza e fuggire dalle
responsabilità della vita adulta. Neanche la peste li fa desistere
dalle loro “zingarate”. Anzi quella drammatica situazione pare la
più fertile per agire liberi ed indisturbati e dare seguito ai loro
scherzi. Una città rinchiusa e spaventata è infatti l’ideale per
far cadere dei malcapitati nelle beffe ordite dai cinque amici per
esorcizzare la paura della morte con la vita.
E quando, dopo l’ultima beffa ai
danni del legnaiolo ed eroe del calcio in costume Alderighi
(Massimo Ceccherini), sembrano scarseggiare le
vittime, perché non prendere di mira a sua insaputa proprio uno di
loro? È così che Cecco diventa oggetto di una memorabile bravata
dei goliardici amici. Bravata in cui giocherà la sua parte anche
Lorenzo il Magnifico in persona. Amici miei ha già avuto due
sequel, nel 1982 e nel 1985, ritenuti minori e meno originali del
primo. E questo come sarà? Non resta che andare al Cinema per
scoprirlo.
Pierfrancesco
Favino – È lui stesso a dire che il termine star evoca
alla sua mente solo l’immagine del famoso brodo. E questo già la
dice lunga sul suo understatement, sull’umiltà con la quale
affronta il mestiere d’attore. Tuttavia, considerata la popolarità
raggiunta, le collaborazioni illustri in Italia e all’estero, la
versatilità che ormai tutti gli conosciamo, che lo rende capace di
spaziare nei più svariati registri cinematografici e di giocare coi
più disparati dialetti dello stivale, pare che l’attore romano
dovrà proprio abituarsi ad essere definito star.
Tante, negli ultimi quindici anni,
le pellicole cui ha dato sapore e carattere, passando con
disinvoltura dalla commedia al dramma e viceversa: da L’ultimo
bacio di Muccino a Romanzo criminale, da Saturno contro a
Figli delle stelle. Senza dimenticare le interpretazioni
televisive: dal giovane medico di Amico mio, al ciclista Gino
Bartali, al sindacalista Di Vittorio. Personaggi forti e
determinati i suoi, uomini tutti d’un pezzo, balordi, ma anche
bravi ragazzi, uomini d’oro, o simpatiche canaglie e cinici
egoisti. Ad ognuno ha saputo dare una caratterizzazione precisa,
fatta di movenze, sguardi, atteggiamenti, inflessioni linguistiche,
sempre perfettamente in sintonia col personaggio, tanto da renderlo
fotografia vivida e spesso memorabile. Stiamo parlando di
Pierfrancesco Favino.
Tutto ha inizio il 24 agosto del
1969, quando nasce in quella stessa Roma dove tutt’ora vive. Sul
fatto che abbia un forte legame con la sua città sussistono pochi
dubbi: si dice che ami vivere il suo quartiere – il Celio – e che
non si sottragga al contatto con la gente. È proprio nella Capitale
che muove i primi passi da attore, inizialmente come studente
dell’Accademia d’Arte Drammatica, poi sul palco, sotto la sapiente
direzione di maestri come Proietti e Ronconi.
Prosegue quindi approdando alla tv – che continuerà a frequentare
con una certa assiduità – nel ’91 con la partecipazione a Una
questione privata di Alberto Negrin, cui segue la
serie tv Amico mio (1 e 2, 1993 e 1998).
Nel frattempo, esordisce anche al
cinema, con Pugili di Lino Capolcchio (1995). Due anni dopo è nel
cast del film di Stefano Reali In barca a vela contromano, accanto
a Valerio Mastandrea e Antonio
Catania, in un piccolo ma ben caratterizzato ruolo: quello
del disinvolto dottor Castrovillari. Nello stesso anno è diretto da
uno dei nostri più grandi registi: Marco
Bellocchio, in Il principe di Homburg. Nel 2000, non si
lascia sfuggire l’occasione di farsi dirigere da Luigi Magni, che
firma la sua ultima opera, La carbonara. Qui Pierfrancesco
Favino recita accanto a Fabrizio Gifuni,Valerio Mastandrea e al grande Nino
Manfredi. Nel 2001 lo vuole Gabriele Muccino, per la sua
commedia sentimentale sui trentenni in crisi L’ultimo bacio.
Altro film sulla generazione degli
“enta” è la seconda prova dietro la macchina da presa di Luciano
Ligabue Da zero a dieci (2002), dove Pierfrancesco
Favino interpreta Biccio. È poi scelto da Enzo Monteleone
per una pellicola drammatica: veste i panni del sergente Rizzo in
El Alamein – La linea del fuoco, che ricostruisce le vicende legate
all’omonima battaglia, protagonisti un plotone italiano opposto
alle forze inglesi in Egitto nel 1942. Per l’efficace prova
d’attore non protagonista, è tra i candidati al David di
Donatello.
Il 2003 lo vede partecipare alla
commedia corale, esordio registico di Maria Sole
Tognazzi, Passato prossimo, con Paola Cortellesi, Claudio
Santamaria, Valentina Cervi. Al centro del film un gruppo
di amici che si ritrovano nella casa di campagna di una di loro
(Paola Cortellesi) per passare il fine settimana,
ricordando il loro passato insieme e immaginando il loro futuro.
Nel 2004 arriva un’altra collaborazione importante, che porterà
a Pierfrancesco Favino ancora una candidatura
al Nastro d’Argento come miglior attore non protagonista, quella
con Gianni Amelio per Le chiavi di casa, accanto a Kim Rossi
Stuart. Per ora, però, non arrivano premi pesanti, come non sono
ancora arrivati ruoli da protagonista. Pierfrancesco
Favino è infatti considerato un buon caratterista, in
grado di ricoprire brillantemente ruoli di comprimari, ma non
adatto a quelli di primo piano. Tuttavia, è innegabile che anche
nei più piccoli ruoli affidatigli, l’attore romano riesca sempre a
fornire una caratterizzazione precisa, vivida e realistica, che
lascia il segno e resta nella memoria.
Il primo a scommettere di più sulle
sue doti è Michele Placido, che lo vuole per il
suo Romanzo criminale (2005), tratto dall’omonima
opera narrativa di Giancarlo De Cataldo, e
liberamente ispirato alle vicende della Banda della Magliana. E la
scommessa è senz’altro vinta. Il film è strutturato in tre episodi,
che rispecchiano le fasi e i passaggi di potere all’interno del
gruppo criminale. Favino è protagonista del primo episodio, nei
panni del Libanese: colui a cui si deve l’idea del “salto di
qualità” della banda, dalla piccola criminalità al crimine
organizzato, che controlla droga e prostituzione a Roma, stringe
alleanze con la mafia siciliana e con le alte sfere di un potere
politico più o meno corrotto.
Il Libanese pensa in grande, si
ispira agli imperatori romani e vuole ottenere con la forza un
riscatto sociale che non è riuscito a guadagnare con altri mezzi. E
come Giulio Cesare, finirà pugnalato per vendetta
da uno degli scagnozzi che si tiene intorno, in una delle sequenze
più intense del film. Pierfrancesco Favino
mette al servizio del personaggio la sua fisicità imponente, qui
quasi da orso (assieme all’andatura claudicante messa a punto per
il personaggio), e un’espressività truce, adattissima
all’occasione. Ciò non significa però che nel corso della pellicola
non mostri un ampio repertorio espressivo, che spazia appunto dallo
sguardo più torvo, alle lacrime, in un’interpretazione di altissimo
livello. Accanto a lui, degni protagonisti degli altri due episodi
della pellicola, Kim Rossi Stuart/Il Freddo, che
ritrova dopo Le chiavi di casa, e Claudio
Santamaria/Il Dandi, con cui aveva condiviso il set di
Passato prossimo. Il film fa il pieno di riconoscimenti,
collezionando sette Nastri d’Argento e dieci David di
Donatello. Pierfrancesco Favino li
porta a casa entrambi, il primo come Miglior Attore protagonista e
il secondo come Miglior Attore non protagonista. La pellicola
ottiene uno straordinario successo di pubblico e la popolarità
dell’attore romano cresce vistosamente, assieme al credito
accordatogli dalla critica e dagli ambienti cinematografici. Il
riscontro è tale che dal film viene tratta una fortunata serie
televisiva (giocata però più sulla rappresentazione di tipi umani
dai modi stereotipati, che banalizzano certi tratti tipici della
romanità. Nulla a che vedere con la complessità e la sapidità dei
personaggi del film).
Altri affermati registi italiani
vogliono Pierfrancesco Favino nei loro cast. Nel
2006 lo sceglie Giuseppe Tornatore per
interpretare il ruolo di Donato Adacher ne La sconosciuta,
protagonista Ksenia Rappoport. Lo stesso fa
Ferzan Ozpetek che, dopo aver scelto Gassman per
Il bagno turco, Accorsi e Margherita Buy per Le fate ignoranti,
Barbora Bobulova per Cuore sacro, ora punta proprio su Favino per
farne il personaggio cardine di quell’affresco corale su amicizia,
amore e morte, che è Saturno contro (2007). Anche in questo caso,
il compito non è facile: Davide è un uomo equilibrato, sicuro di
sé, risolto, con una vita tranquilla, che condivide con il
suo compagno Lorenzo/Luca Argentero e un nutrito gruppo di amici,
per i quali è figura di riferimento. Ha un lavoro che lo soddisfa
(scrive favole) e una bella casa. Questo universo quasi perfetto
entra in crisi con la morte improvvisa di Lorenzo. Per buona parte
del film, il personaggio si mostra forte, quasi spavaldo di fronte
all’accaduto, nascondendo in qualche parte remota di sé il dolore
causato dalla scomparsa del compagno. Poi, tutto emergerà,
reclamando il suo spazio.
E solo dopo aver vissuto realmente
il lutto e averne acquisito consapevolezza, lui e i suoi amici,
colpiti anch’essi profondamente dalla perdita, potranno
ricominciare a vivere.Pierfrancesco
Favino convince anche nei panni dell’omosessuale alle
prese con il lutto e commuove davvero nella sequenza clou del film
quando, in preda a tentazioni suicide, scoppia in lacrime. Un filo
di rigidità si percepisce solo in una delle prime scene, quella del
bacio con Argentero, in cui certamente Ozpetek è bravo a sfruttare,
volgendolo in positivo, l’imbarazzo dei due protagonisti.
Nello stesso anno, all’attore viene
offerta la possibilità di partecipare con un cameo a una produzione
made in USA: Una notte al museo di Shawn Levy, con
Ben Stiller. Pierfrancesco
Favino non si lascia scappare l’opportunità, che in
seguito sfrutterà ancora con successo, riscuotendo un discreto
apprezzamento oltreoceano. Il 2008, infatti, è l’anno della sua
partecipazione a Le cronache di Narnia: il principe Caspian di
Andrew Adamson. Ma è anche quello di Spike Lee,
che lo vuole nel cast di Miracolo a Sant’Anna.
Tuttavia, non dimentica l’Italia e ritrova Maria Sole
Tognazzi, che lo dirige in L’uomo che
ama, di nuovo accanto a Ksenia Rappoport.
Nel 2009 torna a solcare l’oceano e partecipa, in un piccolo ruolo,
ad Angeli e demoni di Ron Howard, tratto dal best seller di Dan
Brown, protagonista Tom Hanks.
Nel 2010 torna in Italia per
collaborare con un altro regista nostrano di grande sensibilità:
Silvio Soldini.Pierfrancesco
Favino interpreta Domenico in Cosa voglio di più, storia
della travolgente passione e dell’amore clandestino tra lui, uomo
sposato e con due figli, e Anna/Alba Rhorwacher, anche lei sposata,
con Alessio/Giuseppe Battiston. Il loro incontro metterà tutto in
discussione. Nelle difficoltà quotidiane di Domenico e Anna, anche
un affresco sociale dell’Italia di oggi. Nello stesso anno,
l’attore romano ritrova Lucio Pellegrini, con cui aveva collaborato
nel 2005 per il documentario La vita è breve, ma la giornata è
lunghissima, stavolta per la commedia Figli delle
stelle. Pellegrini mette insieme un cast di tutto
rispetto, che raccoglie, oltre a Pierfrancesco
Favino, Giuseppe Battiston, Claudia Pandolfi,
Paolo Sassanelli, Giorgio Tirabassi, Fabio Volo per
raccontare la vicenda tragicomica di un gruppo di precari che per
dar una svolta alle loro sorti, decidono di rapire un membro delle
istituzioni, ritenute responsabili della loro condizione
esistenziale: un ministro.
Sennonché, essendo alquanto
maldestri, rapiscono per errore un onesto sottosegretario. Seguono
grottesche ed esilaranti avventure che innescano una riflessione,
seppur velata dal sorriso, sia sulla stagione del terrorismo in
Italia, che sulla difficoltà delle attuali generazioni di trovare
modelli di intervento e di lotta sociale diversi da quelli passati.
Caustica ironia anche su alcuni vizi tipici italiani (su tutti,
l’ipocrisia). Nel gruppo dei precari
sfruttati, Pierfrancesco Favino è Pepe, che
aspetta da anni un posto d’insegnante di educazione fisica, e
intanto lavora, indignato, in un fast food. Pepe è un omone grande,
grosso e capellone, ma dal cuore tenero, appassionato di indiani
d’America ma con uno spassosissimo accento pseudo-ternano, che a
trentotto anni vive ancora coi genitori. Completa l’affresco
l’abbigliamento vintage anni ’80. Il rischio di sfociare nella
macchietta comica è alto, ma l’attore romano lo schiva abilmente,
regalando ancora una volta una caratterizzazione ricca di sfumature
e perfettamente credibile.
Lo stesso anno, Favino
partecipa al sequel di L’ultimo bacio, Baciami ancora, accanto a
Stefano Accorsi e Vittoria Puccini, sempre per la regia di Gabriele
Muccino. Mentre il 2011 lo vede protagonista di un’altra pellicola
diretta da Lucio Pellegrini: La vita facile, dove ritrova proprio
Accorsi e Puccini per una commedia sui (tanti) vizi e le (poche)
virtù italiane, rese ancora più evidenti dalla cornice africana in
cui la vicenda è ambientata. Inoltre, lo vedremo nella prossima
fatica di Carlo Verdone Posti in piedi in Paradiso.
Un capitolo a parte, come detto
all’inizio, è quello delle fiction televisive. In particolare,
ricordiamo le sue interpretazioni del ciclista Gino Bartali in Gino
Bartali – L’intramontabile (2006), diretto da Alberto Negrin, col
quale aveva esordito in tv nel 1991. All’interpretazione di
Bartali, Pierfrancesco Favino si applica, al
solito, con abnegazione e meticolosità, si cimenta con l’accento
toscano (come farà due anni dopo, quando interpreterà il partigiano
“Farfalla” per Spike Lee). Segue una rigorosa preparazione
fisico-atletica e percorre svariati chilometri su due ruote perché,
dice, vuole rendersi conto di quali pensieri attraversino la mente
di un ciclista mentre corre. (E la risposta è: nessun pensiero, se
non la preoccupazione di riuscire ad arrivare alla fine, macinando
una pedalata dopo l’altra e cercando di non farsi travolgere dalla
fatica). Nel 2007 vince il premio come Miglior Attore protagonista
al Roma FictionFest per la fiction tv Liberi di giocare, per la
regia di Francesco Miccichè, dove recita accanto a Isabella
Ferrari. Nel 2009 ottiene lo stesso riconoscimento per la sua
interpretazione di Giuseppe Di Vittorio in Pane e libertà, ancora
sotto la regia di Alberto Negrin. Qui veste i panni del
sindacalista pugliese – ancora una volta lavora egregiamente
sull’aspetto linguistico, dimostrando anche in questo grande
versatilità- che promosse la coscienza di classe tra i contadini
meridionali, per poi arrivare ai vertici del sindacato. Guadagna
per lo stesso ruolo il Premio Internazionale Flaiano come Miglior
interprete.
Solo una volta finora si è
cimentato nella regia, in occasione di un video promozionale di
raccolta fondi per l’Associazione Parent Project, costituita da
genitori di bambini affetti dalla distrofia muscolare Duchenne, che
finanzia progetti di ricerca (2008). L’attore è anche impegnato con
Oxfam Italia, che opera in Africa con vari progetti.
Metti quattro amici annoiati dalla routine alle prese con una
partita di viagra da occultare, e ottieni un pugno nello stomaco, o
se si preferisce, un dito nell’occhio, alla cattolicissima Irlanda.
Ovvero, ottieni Holy Water.
Holy Water (Acqua
santa) è un film diretto da Tom Reeve, prodotto
nel 2009 dalla Feature Productions e distribuito in Italia da
Mediterranea a partire dal prossimo weekend. Veniamo alla trama.
Quattro amici di un tranquillo paesino sulla costa Irlandese,
Killcoulin’s Leap, sono profondamente annoiati dalla monotonia del
loro quotidiano. C’è chi fa il postino che butta le lettere che non
gli interessano; un ragazzone meccanico con poco lavoro;
l’albergatore che insieme alla sorella gestisce un alberghetto
perennemente semivuoto, e un giovane ragazzo che vive con i suoi e
con tanta voglia di evadere da quella monotona realtà. Tutti e
quattro suonano in un localino, in cui vanno a ballare vecchietti
che nemmeno badano alla loro musica.
Holy Water, il film
Quando i loro problemi raggiungono
l’apice, al postino viene un’idea per arricchirsi: dirottare un
furgoncino che trasporta Viagra diretto all’aeroporto, direzione
Stati Uniti. Dopodiché rubare le casse contenenti la magica pillola
blu, per poi rivenderla ad Amsterdam. Ma i quattro sono alquanto
impacciati e imbranati e il piano si complica; inoltre sulle loro
tracce ci si mette pure una squadra SWAT americana dalle tecnologie
avanzate e l’aspetto tipicamente severo. Decidono così di buttare i
fusti in un pozzo, contenente le falde acquifere che dissetano
l’intero paese. Ed ecco che il tranquillo e sonnacchioso paesino
irlandese si trasforma in un’inaspettata Sodoma e Gomorra…
Terzo film per Tom
Reeve, essendosi occupato, nella sua trentennale carriera,
come vedremo dopo, soprattutto di produzione. In Holy
water sfrutta tutte le caratteristiche tipiche irlandesi:
paesaggi mozzafiato, ironia verso gli inglesi e gli americani,
bigottismo cattolico, té, Guinness, paesini tranquilli immersi nel
verde; contrapponendo il tutto con un inaspettato evento esterno
che travolge siffatti equilibri e stereotipi. Ci aggiunge anche un
classico stereotipo americano, quello degli attrezzatissimi e
severissimi SWAT che si mettono sulle tracce dei ladruncoli
improvvisati. Il risultato finale è un film piacevole, divertente,
ma che non fa scompisciare dalle risate come forse ci si aspetta
conosciuta la trama.
Tornando al regista, che dicevamo
essere Tom Reeve, ha diretto solo tre film
(compreso questo). I precedenti sono una commedia “Diggity – A Home
at Last” (2001) e un fantasy “George and the Dragon” (2004). La sua
carriera è per ora caratterizzata soprattutto per altri ruoli,
principalmente come aiuto regista, ma anche come produttore di
diversi film tra la fine degli anni ’80 ed inizio 2000, nonché di
film per la tv e telefilm. Holy water potrebbe
essere l’inizio di una brillante carriera da regista.
L’atteso seguito di The Expendables sta andando avanti nella
fase di produzione ma pare che Sylvester Stallone non scriverà nè
dirigerà questo secondo episodio.
L’attrice Gwyneth Paltrow ha appena
firmato un contratto – per una cifra non ufficiale di ben 900.000
dollari – con la Atlantic Records per il suo album di debutto.
L’attrice si sta quindi preparando una carriera ‘di riserva’ nel
caso volesse abbandonare il cinema.
Matteo e Vincenzo Cerami, più buona
parte del cast, numeroso di Tutti al mare, era presente alla Casa
del Cinema di Roma per parlare del film. Si è parlato di commedia,
di temi sociali e illustri discendenze.
Questo weekend saremo già al mare,
perlomeno andando al cinema. Esce nelle sale infatti Tutti al mare,
opera prima dell’esordiente Matteo Cerami, cognome
pesante, che dirige una commedia scritta appunto dal padre
Vincenzo, che ha anche una parte nella pellicola.
Anche Tutti al
Mare è un “figlio d’arte” visto che la diretta
ispirazione, come conferma lo stesso regista è Il casotto, film del
1977 di Sergio Citti, sempre scritto da Vincenzo Cerami e prodotto
da Gianfranco Piccoli, provocatore e produttore di quest’ultima
opera. Provocatore perché è stato lui ad avere l’idea di ritornare
sulla spiaggia di Casotto e vedere come sono cambiate le
cose. Nel film di Citti il protagonista principale
era appunto un casotto di uno stabilimento di Ostia, dal quale non
si usciva mai e nel quale entrava ogni possibile umanità, anche una
giovanissima Jodie Foster, oltre che un esordiente
Luigi Proietti.
Tutti al Mare di
Matteo Cerami invece il protagonista è un chiosco
fronte mare , nel quale entrano ed escono personaggi e animali. La
storia inizia e finisce in una giornata d’estate in uno
stabilimento romano gestito da Maurizio (Marco
Giallini) scapolo con madre a carico che accoglie,
viene sfruttato e sfrutta i suoi avventori con prezzi al limite
dell’usura per una sdraio e ombrellone. Attorno a lui si sviluppano
le storie dei bagnanti del weekend, personaggi che sono in bilico
tra il buffo e il patetico, tra la commedia e la tragedia.
Tutti al mare, ci tiene a
sottolineare il produttore, non è un seguito de Il casotto, ma un
nuovo esperimento: laddove il film di 34 anni fa descriveva dei
personaggi tipici dell’Italia di quegli anni, qui si tenta lo
stesso procedimento e ne viene fuori, sempre per usare le parole
del produttore, un’Italia “spiaggiata”. Dal canto suo, Vincenzo
Cerami sottolinea come Il casotto fosse un film claustrofobico
mentre Tutti al mare è un film in cui c’è l’esatto opposto, c’è
troppo “fuori” che entra nella storia, è un film agorafobico.
Ovviamente, i riferimenti all’illustre predecessore sono vari e
sparsi qua e là nel film, e prendono forma nella figura di
Ninetto Davoli, che interpreta un pescatore che
vende pesce veramente fresco e “trote di mare”, tipiche della
zona, che quindi fa da collante, insieme a Proietti, tra il
passato ed il presente, oltre che fornire un legame anche con un
altro personaggio, Pier Paolo Pasolini, che viene ampiamente citato
in una scena in cui i due ragazzi immigrati che lavorano nel
chiosco di Maurizio reinterpretano il finale di “Che cosa sono le
nuvole?”.
Ad omaggiare definitivamente
Sergio Citti ci pensa invece il personaggio di
Gigi Proietti, che lo inserisce tra i sette re di
Roma. Altre citazioni sono sparse nel film, ma ben nascoste, come
ha piacere di sottolineare lo sceneggiatore Vincenzo
Cerami. E’ un film corale, in cui ogni personaggio ha un
proprio spazio di azione, come nell’avanspettacolo in cui i
personaggi si alternavano incrociandosi ma senza mescolare le loro
storie. Questa forse una delle pecche del film, i personaggi sono
tanti e tutti molto ben delineati, forse sono troppi per un
film di soli 95 minuti.
Ed in effetti il film ha un cast
che mette insieme il passato e il presente del cinema italiano; dai
già citati Proietti e Davoli, poi
Anna Buonaiuto, che interpreta una diva della televisione molto
sopra le righe, Ilaria Occhini, passando poi per Marco Giallini, Ennio
Fantastichini, un’apparizione di Valerio
Mastrandrea fino ad arrivare alle nuove leve
Francesco Montanari, Ambra Angiolini e
Libero De Rienzo, tutti quanti veramente nella
parte. E addirittura Pippo Baudo nei panni di se stesso.
Variety ha reso noti i primi due nomi annunciati da
Davis Film relativamente al prossimo film dedicato alla serie
cinematografica tratta dal video gioco Silent
Hill. Adelaide Clemens e Kit Harington.
Torna al cinema il bambino che non voleva crescere. La Sony
infatti annuncia un progetto dal titolo cristallino: Peter Pan
Begins, che racconterà chiaramente le origini del ragazzino leader
dei Bambini Sperduti.
La recensione del film d’animazioneLa
principessa e il ranocchio diretto
da Ron Clements e John Musker prodotto da
Walt Disney Pixar.
Nella New Orleans degli anni 20’ la
giovane Tiana lavora duramente per realizzare il sogno di suo padre
:aprire un ristorante tutto suo. Non sembra esserci tempo per il
matrimonio quando alla festa in maschera della sua ricca amica
Charlotte i proprietari del locale si dichiarano non più disposti a
vendere; finché , sul balcone con gli occhi al cielo in attesa di
un miracolo , Tiana non viene spaventata da uno strano ranocchio :
dice di essere il principe Naveen e di avere bisogno del bacio di
una principessa …
Regia: Ron Clements, John Musker
Anno: 2009
Con le voci di:
Anika Noni Rose/Domitilla D’Amico/Karima Ammar: principessa Tiana;
Keith David/Luca Ward: Dottor Facilier; Jim Cummings/Luca Laurenti:
Ray; Bruno Campos/Francesco Pezzulli: principe Naveen.
Trama del film La
principessa e il ranocchio: Nella New Orleans degli anni
20’ la giovane Tiana lavora duramente per realizzare il sogno di
suo padre: aprire un ristorante tutto suo. Non sembra esserci tempo
per il matrimonio quando alla festa in maschera della sua ricca
amica Charlotte i proprietari del locale si dichiarano non più
disposti a vendere; finché, sul balcone con gli occhi al cielo in
attesa di un miracolo, Tiana non viene spaventata da uno strano
ranocchio: dice di essere il principe Naveen e di avere bisogno del
bacio di una principessa …
Analisi: Col
dominio incontrastato della CGI e l’estenuante ricerca di
perfezione e profondità tridimensionale è davvero ammirevole il
tentativo della Walt Disney Pictures di ritrovare
sé stessa (dopo anni di oscurantismo e smarrimento ) a mezzo delle
vecchie tecniche d’animazione che hanno accompagnato la nostra
infanzia e che ancora ci fanno sognare ,attraverso una storia
di estrema classicità (forse anche troppa): La
principessa e il ranocchio è in tutto e per tutto un
film Disney secondo il canone tradizionale (curiosamente voluto con
insistenza proprio da John “MR Pixar “ Lasseter), che non solo si
basa sul più noto e immortale fra i topoi fiabeschi (il principe
ranocchio che per tornare normale ha bisogno di un bacio della sua
amata ) ma si caratterizza per un gusto volutamente patinato e
retrò al punto tale che probabilmente se il film fosse uscito dieci
anni fa ben poco sarebbe cambiato.
Anche se abilmente nascoste,
comunque delle novità ci sono e parecchio interessanti, soprattutto
nell’ambientazione: dopo tanti regni immaginari e luoghi perduti
nel tempo e nello spazio i riflettori sono tutti per lei, una
luminosa New Orleans, la città dove tutti quanti voglion fare il
jazz, terra del banjou e di riti vodoo da brivido;
impossibile non riconoscere negli sfavillanti colori del carnevale
e nelle inquietanti atmosfere del cimitero Lafayette una
dichiarazione d’amore smisurata, insieme a una lacrima di
nostalgia, per una città crocevia di culture uscita distrutta dal
terribile uragano Katrina e improvvisamente rinata, lì davanti a
noi al massimo del suo fascino magnetico.
La principessa e il
ranocchio, personaggi di una favola Disney
Moderna è anche l’indole della
bella Tiana , principessa di cuore e non di titolo che invece di
pensare al matrimonio come le tante sue colleghe lavora notte e
giorno per potersi permettere il ristorante dei suoi sogni e
che , perfettamente in sintonia con l’era Obama, è per la prima
volta (ed era ora )una giovane afroamericana; simpaticamente
scanzonato e spendaccione invece il tanto agognato principe
Naveen , assai poco avvezzo al risparmio e alle responsabilità che
proprio per cercare facile ricchezza finirà nella trappola del
villain.
Ben più stellari sono però i
personaggi di contorno: la lucciola sdentata Ray
,visibilmente modellata sul grande Louis Armstrong e innamorata
della stella Evangeline, la simpaticissima amica Charlotte La
Bouff, ossessionata dalla ricerca del suo principe azzurro e
disposta a qualsiasi sacrificio (chissà se riuscirà a sposare il
fratellino seienne del principe una volta diventato adulto…), il
Dottor Facilier , che nel “facilitare” la vita delle sue vittime
accumula un debito che può essere saldato soltanto a prezzo della
propria anima e il suo alter ego positivo Mama Odi , arzilla
vecchietta ultracentenaria simile a una santona nell’aspetto e alla
fata turchina nelle movenze.
Impeccabili i disegni e l’uso dei
colori , le pennellate arcobaleno degli incantesimi vodoo e gli
azzurri della palude e del cielo stellato che si sposano
perfettamente con l’atmosfera carnevalesca e multietnica della
mitica città a mezza luna, da gustarsi finalmente senza
odiosi occhialini inutili ma pronti egualmente ad entrare
nell’immaginario dei bambini di oggi che ormai quasi rischiano di
disconoscere il mondo in 2D.
E’ un peccato allora che nonostante
le interessanti premesse e la suggestiva opportunità di dialogare
con un passato che definire glorioso nel genere è dire poco, nel
tentativo di mixare al meglio la dimensione umana del cartoon con
quella “animale” (da sempre grande cavallo di battaglia della
Disney ) la pellicola di Ron Clements e John
Musker ( registi dei bellissimi “Aladdin “e la
“Sirenetta”) si smarrisce a metà strada : dal momento in cui i
protagonisti vendono trasformati in ranocchi il film inizia
inesorabilmente ad annoiare, non riuscendo più a emozionare neppure
al momento del necessario happy ending , salvando dal generale
senso di stanchezza solo pochissimi momenti (la ballata delle
lucciole sul banjou e la poetica riunione di Ray alla sua
Evangeline).
Nella favola La
principessa e il ranocchio le citazioni dal passato
Disneyano e non non si fanno certo mancare: Facilier ricorda
l’Ade di Hercules,
il ranocchio Naveen sembra il fratello gemello di Jean Bob ne
“l’incantesimo del lago” e il servo Lawrence è praticamente
fotocopiato dal Nathaniel di “come ‘incanto”, eppure la
giusta dimensione evocativa non viene aiutata dalla colonna
sonora di Randy Newman: pur in sintonia con le atmosfere jazz degli
anni ’20 , i motivi musicali si scoprono totalmente non
orecchiabili (è incredibile come tutti i pezzi della colonna sonora
scivolino via senza lasciare traccia quando in passato bastava un
solo ascolto perché restassero impresse).
Nessuno mette in dubbio che sia un
prodotto molto carino e deliziosamente fuori tempo e che
bisognerebbe cercare di investire di più nel candore e nella
semplicità del disegno a mano, ma per costruire una buona difesa
contro l’avanzata del digitale bisognerebbe cercare di osare di più
senza aver paura di scontentare gli “storici” né di essere mal
giudicati da chi è cresciuto ( a volte davvero male ) a pane e
pixel. Per dirla come la saggia mamma Odi: avremo anche avuto
quello che volevamo, ma abbiamo davvero avuto ciò di cui avevamo
bisogno?
Il Rito è
un horror nel mondo degli esorcisti che uscirà in Italia l’11
Marzo. La storia è ispirata alle esperienze reali (per il Vaticano
e per chi ci crede) raccontate nel libro, dall’omonimo titolo, di
Matt Baglio.
Il protagonista, Michael
Kovak (Colin O’Donoghue) è un seminarista
combattuto tra scetticismo e desiderio di fede. Viene mandato a
Roma per formarsi come esorcista e qui conosce Padre Lucas
(Anthony Hopkins) che lo porterà a tastare con
mano la presenza del maligno. E’ difficile evitare, durante la
visione di Il Rito, che il pensiero
non vada a The Exorcist (L’Esorcista) di
William Friedkin, il suo avo famoso del ’73, e
alla sua stirpe fatta di prequel, sequel e versioni integrali fatte
per rinnovarne i fasti con le generazioni future di giovani
spettatori desiderosi di volti satanici e corpi che si contraggono.
Il regista Mikael Håfström (suo, 1408, horror
diretto nel 2007) si confronta quindi con un film di genere i
cui stilemi sono ormai ben marcati. Sembra saperlo e in alcuni
momenti si concede opportuni spunti ironici che hanno anche il
pregio di cercare costruzioni di climax attraverso vie leggermente
più insolite.
Inevitabile però l’ortodossia ai
più consolidati cliché soprattutto nei momenti risolutivi della
fine, complice una sceneggiatura per nulla originale fondata su un
esile messaggio di fede (che molto ricorda il Mel Gibson di Signs,
diretto da M. Night Shyamalan nel 2002 ). Il tutto
è scandito da una schematica strutturazione didascalica. Ortodossia
al genere e ortodossia al contenuto, in Il
Rito, sono freni all’immedesimazione con il
paranormale (dimensione in cui un mondo trasfigurato aiuta molto)
ancor più per un pubblico italiano: l’ambientazione romana
(esotica, forse, per gli americani) con annesse comparse che si
esprimono in idioma romanesco (questo nella versione con audio
originale; starà al lavoro di doppiaggio scegliere la via da
seguire) strappano sorrisi. Del resto spesso gli horror dividono la
sala tra quelli che sorridono e quelli che si coprono gli occhi. Un
altro buon motivo per vedere Il
Rito in lingua originale è l’interpretazione di
Anthony Hopkins nel ruolo di Padre Lucas. Il suo
personaggio è interessante. Ha un animo giocoso e ironico che usa
come arma contro il Male con cui si confronta.
Molti dei meriti sono però proprio
di Hopkins (scherzoso, cupo, demoniaco) che riesce a dare spessore
e umanità al suo ruolo e a salvare le troppe banalità
di Il Rito. Padre Lucas poteva
essere l’ennesimo elemento anonimo e invece, nell’interpretazione
di Hopkins, risolleva le infantili argomentazioni dello
sceneggiatore Michael Petroni che si confronta, in modo
superficiale, con il controverso legame tra bene e male. Per
fortuna l’Hannibal Lecter per antonomasia con le sfumature del male
ha già avuto confidenza proprio con un altro cult capostipite di
seguiti: Il silenzio degli innocenti (Johnatan Demme, 1991 ).
Colin O’Donoghue
(Proof, 2005) nel ruolo del protagonista è, al contrario, chiuso in
una scarsa espressività. Il personaggio di Michael Kovac risulta
piatto e privo di sfaccettature anche nella sua crisi mistica molto
schematizzata.
Alice Braga (Predators , 2010) ha il ruolo di
Angelina, la giornalista scettica che si rispecchia nei dubbi di
Michael. Risulta altrettanto anonima, ma nel suo caso molto più per
demeriti della sceneggiatura che la relega a personaggio puramente
accessorio. Di certo Il
Rito non è un film memorabile ( come spesso
accade per i film di genere ) ma un buon Hopkins e l’ortodossia al
genere lo rendono adatto ad una serata poco impegnata tra amici,
magari divisi tra chi si fa qualche risata e chi si copre gli
occhi.
Proprio ieri parlavamo di Tom
Cruise e della sua certa partecipazione a The Mountain of Madness
diretto da Guillermo Del Toro, oggi giunge inaspettata la notizia
che il film è stato annullato dalla Universal.
L’eroina avventuriera dei video
giochi potrebbe tornare al cinema. Si tratta di Lara Croft, che il
produttore Graham King vuole riportare al cinema in un nuovo
episodio, che verrebbe a completare la trilogia interrotta nel 2003
con il deludente La Culla della Vita.
Le Montagne della Follia di Guillermo Del
Toro procede a gonfie vele e finalmente si conosce il nome
del protagonista. Come già si vociferava da un po’, Tom
Cruise è stato confermato nel ruoo del protagonista nel
film tratto dal romanzo di Lovecraft.
In questo periodo in cui in Italia
il corpo delle donne è sotto i riflettori e la luce non è affatto
buona, un film come questo sposta decisamente l’ottica e fa tirare
un sospiro di sollievo. Avere un corpo da mostrare, sembra dire la
pellicola, non ha come diretta conseguenza la mercificazione e la
svendita di se stesse, ma è un mezzo per mettersi in contatto
con il proprio io e con il sè più intimo.
Arriva al cinema distribuito da
Walt Disney Pictures Italia Gnomeo & Giulietta, il film di
d’animazione diretto da Kelly Asbury, con le voci originali di
James McAvoy e Emily Blunt.
“Oh Gnomeo Gnomeo, perché sei tu
Gnomeo!” Recita così la “nana” da giardino Giulietta nel nuovo
cartoon di Kelly Asbury (Shrek
2), che trae evidentemente ispirazione dall’immortale
e irripetibile tragedia di William
Shakespeare.
Si parla di Gnomeo e
Giuletta 3D, un film di animazione ambientato a Verona
Street nei giardini di due vicini di casa londinesi. I protagonisti
sono i nani da giardino che non appena i padroni sono lontani,
escono allo scoperto, vivendo la loro vita. Abbiamo già visto, ad
esempio in Toy Story, come si può lasciare spazio
alla fantasia e all’immaginazione nel dar vita a “oggetti
inanimati”, ma qui c’è l’aggiunta della rivalità epocale tra i due
giardini/casate, quella dei Rossi e quella dei Blu. Giorno dopo
giorno, i nani appartenenti ai due diversi giardini, portano avanti
una ‘faida’ continua, tra sfide in sella ai tagliaerba e incursioni
notturne in territorio nemico. Un giorno però, mentre Gnomeo, uno
dei più giovani nani dei Blu, fugge dopo un’incursione nel giardino
dei Rossi, incontra Giulietta, una bellissima nana dei Rossi,
fuggita dal padre iperprotettivo. Tra i due nani, esplode subito un
amore incondizionato, che supera ogni barriera o divisione
“razziale”. Ma il loro amore è destinato alla condanna, o almeno
questa è la storia dei più famosi Romeo e
Giulietta…
Decisamente più infantile rispetto
agli ultimi prodotti Pixar, Gnomeo e Giulietta3D è un cartoon che, eccetto alcune trovate
registiche e una sceneggiatura a tratti molto divertente, non
convince fino in fondo. Due dei personaggi più riusciti sono
senz’altro la rana, Nanette, “balia” di Giulietta, e il
fenicottero, Piuma Rosa, amico della coppia. Uno straordinario
supporto al film è dato dalla musica di Elton
John, Lady Gaga e Nelly
Furtado, che cantano le canzoni della pellicola, creando
un mix perfetto tra la classicità della storia d’amore e la
contemporaneità della musica pop.
Un discorso a parte è doveroso
farlo sul doppiaggio italiano creato dalla Disney
Italia. I Rossi parlano un siciliano, napoletano e
calabrese poco credibile. I blu parlano un fastidioso emiliano,
torinese e milanese. A parlare il romano, unica eccellenza nel
doppiaggio, è lo spassoso “Piuma Rosa”, doppiato eccellentemente da
Francesco Pannofino. In generale un’operazione
di doppiaggio mal riuscita e notevolmente stridente, ma d’altronde
era facile snaturare un film che in lingua originale vede
doppiatori del calibro di James McAvoy, Emily Blunt,
Michael Caine, Maggy Smith,
Ozzi Osbourne e Jason Statham.
Gnomeo e Giulietta
3D, dopotutto è un cartoon per i più piccini e a loro
piacerà senz’altro, forse i genitori storceranno il naso, o forse
no, ma questo lo potrete scoprire solo dal 16 marzo 2011 nei
cinema.
Esce nelle sale italiane il
prossimo 16 Marzo Tournée di Mathieu
Amalric, attore francese pluripremiato, ora regista di un
film che all’ultimo Festival di
Cannes ha vinto proprio la palma d’oro per la miglior
regia. Forte di questo, ci si concentra sulle immagini e la storia
perché i dialoghi, complice quasi certamente la traduzione in
italiano, sono a volte incomprensibili.
La storia principale di
Tournéeriguarda un gruppo
di personaggi; da questi partiranno poi due racconti: motore della
storia principale è Joachim, ex divo della televisione francese,
fuggito in America a cercare fortuna, torna in patria come
impresario con un carico di ballerine di New Burlesque nel quale
vede vita, vitalità e novità. Le ha riunite scegliendole in varie
città statunitensi, ognuna con una caratteristica diversa e una
storia da raccontare, ognuna con un suo modo di interpretare il
burlesque di cui però tutte e quattro rappresentano l’essenza
principale: non è un gioco per rifatte dai corpi perfetti, ma
piuttosto donne che così prendono in giro i loro difetti e mettono
in gioco se stesse e il pubblico, finendo poi con apprezzare anche
quello che non va.
Tournée, film
Joachim le ha selezionate una ad
una, perché normalmente lavorano da sole, tra di loro c’è anche un
uomo, e ha promesso loro una tournée in Francia, prima nelle città
più piccole e di porto, per poi arrivare a Parigi. Sulla strada per
la capitale però capita un imprevisto e Joachim deve abbandonare il
suo gruppo per correre a Parigi a risolvere il problema, ritornando
di colpo in quella realtà che aveva abbandonato: l’amico ex collega
regista televisivo di successo che lo aiuta con molti sforzi e poca
voglia, l’impresario parigino che ha rimpiazzato lo spettacolo di
sconosciute glitter di Joachim con uno spettacolo serio che ha però
per protagonista una star, una vecchia fiamma che non aspettava di
vederlo per potersi finalmente infuriare per il trattamento
ricevuto.
Persa ogni speranza di
riconquistare Parigi, Joachim torna dal gruppo di signore americane
che chiedono di vedere la Francia, ma che per ora vedono solo
filtrata dalle catene di alberghi tutti uguali, in cui lavorano
concierge del tutto simili (è in realtà lo stesso attore che fa lo
stesso ruolo in due hotel differenti) che ormai è la sua nuova
famiglia. La sensazione che si ha guardando
Tournée è quella di assistere ad un
esperimento di incrocio culturale: Amalric prende
infatti delle ultraquarantenni attrici di avanspettacolo e le mette
in gioco in un’ambientazione a loro totalmente estranea, per vedere
cosa succede.
L’idea di
Tournée viene da un libro degli inizi del
secolo scorso di Colette, “L’altra faccia del Music Hall” poi
contaminato da un articolo sul new burlesque che il regista lesse
più di sei anni fa. L’operazione, più che far interessare alla
disciplina dello spettacolo, ormai di gran moda, si concentra sulle
donne e su cosa le spinge e che cosa esprimono attraverso questo
spettacolo. Amalric porta sullo schermo la vita di queste donne che
hanno trovato in questa arte un sistema per affrontare i loro
problemi sia di accettazione del proprio fisico che un modo per
avere la possibilità di dimenticare o sminuire una situazione
familiare magari difficile.
Delle quattro donne protagoniste
non conosciamo niente di più che il nome, Amalric
lascia infatti che siano i loro corpi a parlare, i tatuaggi le
rughe, le pance e i fondoschiena. Su di loro infatti la macchina da
presa indugia in dettagli molto stretti, mentre l’impresario
Joachim è quasi sempre ripreso inquadrato in qualcos’altro, una
volta la cabina telefonica, in un altro momento è l’apertura sul
palco che gli permette di vedere una delle ragazze mentre mette in
scena in suo spettacolo. D’altra parte Joachim e le performers sono
rappresentazioni di due stati d’animo opposti: la libertà che le
donne hanno trovato attraverso il burlesque e dall’altro lato la
costrizione, data dalla famiglia, dalle amicizie, dalla rigidità
degli schemi, come ad esempio quello che non permette al concierge
di abbassare la musica dell’albergo perché “è stata programmata
così”, in cui invece fino a quel momento ha vissuto Joachim.
“Amo queste città sofisticate. È
fantastico avere la possibilità di lavorare qui, così come aver
girato Manhattan a New York, Match Point a Londra e
Vicky Cristina Barcelona a Barcellona”
così il regista Woody Allen ha commentato la
notizia riguardo al suo prossimo film.
Questo infatti verrà girato a Roma,
ma “Non chiedetemi del cast e della sceneggiatura” ha
detto Woody, sottolineando la sua superstizione a
riguardo. Il regista di Match Point aprirà il prossimo
Festival
di Cannes con il suo ultimo film Midnight
in Paris.
Johnny Depp è di
nuovo in vetta al botteghino dei film più visti negli Stati Uniti,
questa volta ha smesso i panni del capitano Jack Sparrow, e ha dato
voce al camaleonte Rango, diretto dallo stesso
regista della saga dei Pirati, Gore Verbinsky.
Il film guadagna 38 milioni di
dollari, distanziando nettamente il secondo, The
adjustment bureau, thriller fantascientifico ambientato
negli anni ’50 tratto da un racconto di Philip K. Dick con Matt
Damon e Emily Blunt. Tra gli attori, due volti televisivi: Jon
Stewart, host dell’omonimo talk show di Comedy Central e John
Slattery, che avrà probabilmente utilizzato lo stesso guardaroba
del suo personaggio in Mad Men. Il film incassa
quasi 21 milioni di dollari. Il terzo incasso della settimana è
quello di Beastly, un riadattamento de La bella e la bestia ambientata ai
giorni nostri diretta da Daniel Barnz ma che più che sulla regia
punta sul richiamo del cast composto da Alex Pettyfer, già
protagonista di Sono il numero quattro, Vanessa
Hudgens, ragazza di Zac Efron nella serie disneyana
High school musical e Mary Kate Olsen, una delle
due gemelle che abbiamo visto crescere in diverse serie tv e film
per la televisione.
Il film dei fratelli Farrelly,
Hall pass, scende in quarta posizione, aggiungendo
altri 9 milioni di dollari al suo incasso totale, che raggiunge
così quota 27 milioni, mentre il film che era in prima posizione la
scorsa settimana, Gnomeo and Juliet, scende
esattamente a metà classifica, in quinta posizione. La lotta di
Liam Neeson per riconquistare memoria, identità e famiglia si ferma
in sesta posizione, Uknown raggiunge però un
totale di 53 milioni di dollari di incasso. The king’s
speech è invece ormai abbonato alla sua settima posizione,
in cui si trova da almeno tre settimane, aggiunge altri 6,5 milioni
di dollari al suo incasso totale che così raggiunge 127 milioni di
dollari.
La commedia degli equivoci con Adam
Sandler e Jennifer Aniston Just go with it arriva
in ottava posizione, mentre in nona posizione troviamo proprio
Sono il numero quattro, con Alex Pettyfer. Chiude
la classifica, con un incasso totale di quasi 69 milioni di dollari
il live di Justin Bieber; Justin Bieber: Never say
never.
Tra le uscite attese per la
prossima settimana troviamo: il thriller sci-fi di devastazione
Battle: Los Angeles, con Aaron Eckhart e Michelle
Rodriguez, Red riding hood ovvero la versione
molto poco per bambini dell’omonima favola, con Amanda
Seyfried nei panni della ragazza che attraversa la foresta
e Gary Oldman, nel ruolo del cacciatore. Tra le
curiosità, il film segna il debutto in un ruolo di primo piano in
una grande produzione, del figlio di Jeremy Irons, Max, che
interpreta lo sposo imposto alla protagonista.
Esce anche un nuovo riadattamento
per lo schermo di Jane Eyre con Alice di Tim
Burton, Mia Wasikowska, che se la vedrà con un Mister Rochester
interpretato da Michael Fassbender, difficilissimo pensarlo nel
ruolo di un uomo testardo e ripugnante, ma vedremo. Ultima uscita,
il film di animazione della Disney Mars needs moms
in cui un bambino dovrà recuperare sua mamma rapita appunto dai
marziani.
Manuale d’amore
3 rimane in testa alla classifica italiana, ma
registra un pessimo andamento rispetto al capitolo precedente.
La vita facile debutta in modo discreto,
mentre i film da Oscar brillano (Il cigno
nero e Il discorso del
re).
La posizione è sempre la prima, ma
i dati sono ancora negativi per Manuale d’amore
3: certo, non si possono considerare pessimi i 5,2
milioni di euro complessivi raggiunti con 1,3 milioni di questo
weekend, ma il film di Veronesi sta ottenendo risultati alquanto
mediocri se paragonati a Manuale d’amore 2, che dopo due
settimane aveva superato i 10 milioni totali.
La commedia italiana sta (forse)
registrando un po’ di stanca. E’ un segnale che si può rilevare
anche da quanto ottenuto da La vita
facile: 833.000 euro, nonostante il lancio mediatico,
che piazzano la pellicola al secondo posto. Ma è anche vero che
questo risultato non è poi così disastroso se pensiamo al numero di
copie: 320 contro le oltre 600 di Manuale d’amore 3.
Chi conferma ancora una volta
un’ottima performance è Il cigno nero:
altri 816.000 euro per 4 milioni complessivi alla pellicola con il
Premio Oscar Natalie Portman.
Un dato semplicemente ottimo è quello registrato da Il
discorso del re: forte dei suoi 4 Premi Oscar, il
film di Tom Hooper risale di ben tre posizioni, e si piazza al
quarto posto con 802.000 euro, arrivando così a un totale che
ammonta a ben 6,2 milioni di euro.
The
Fighter debutta al quinto posto con 783.000 euro: non
male per il film che ha regalato l’Oscar come attori non
protagonisti a Christian Bale e Melissa Leo, e si può sperare in un
buon passaparola.
L’altra new entry,
Piranha 3D, si piazza in sesta posizione
con 680.000 euro: distribuito in oltre 250 copie e considerando il
sovraprezzo del biglietto, non c’è molto di cui andare fieri per il
remake del film di Joe Dante.
Unknown – Senza
identità scende al settimo posto con 351.000 euro per
1,1 milioni. Notevole calo per Amore e altri
rimedi, che con 343.000 euro scende dalla terza
all’ottava posizione, giungendo a quota 3,1 milioni.
Il
gioiellino con l’ottimo e onnipresente Toni Servillio
esordisce al nono posto incassando 320.000 euro. Infine chiude la
top10 Femmine contro Maschi (247.000
euro), che arriva a 11,2 milioni complessivi.
Il sito TheArnoldfans.com
ha diffuso la notizia che Arnold Schwarzenegger ha
ripreso a pieno regime il suo lavoro da attore. Lui stesso ha
affermato che ha addirittura da leggere 15 copioni e che presto
annuncerà il titolo di un suo sicuro progetto futuro che
riguarderebbe un cine-fumetto.
Durante la promozione di
Red Riding Hood, Gary Oldman ha
fornito qualche aggiornamento relativo a Christopher
Nolan e a The Dark Knight Rises. Per
coloro che pensano che Il Cavaliere Oscuro sia
difficilmente raggiungibile in quanto a bellezza, Oldman è stato
molto chiaro.
L’attore che nella saga di Batman
firmata da Nolan interpreta il Commissario Gordon, ha riferito che
parlando con Nolan e venendo a contatto con la storia di questo
terzo batman ‘moderno’, ha definito la storia fantastica. Ed ha
continuato dicendo: “Se pensate che Il Cavaliere Oscuro sia stato
un gran film, io penso che con questo si può fare ancora
meglio”.
Durante la promozione di
Red Riding Hood, Gary Oldman ha
fornito qualche aggiornamento relativo a Christopher
Nolan e a The Dark Knight Rises. Per
coloro che pensano che Il Cavaliere Oscuro sia
difficilmente raggiungibile in quanto a bellezza, Oldman è stato
molto chiaro.
Come avevamo già anticipato,
Kristen Stewart è in trattative conclusive per
interpretare Biancaneve nel prossimo progetto della Universal, Snow
White and the Hunstman, diretto da Rupert Sanders.
L’attrice di Twilight era già stata
nominata a gennaio per questo ruolo, ma adesso pare proprio la più
vicina ad interpretare il ruolo accanto a Charlize Theron (strega
cattiva) e Viggo Mortensen (cacciatore). La notizia è stata
twittata da Palek Patel, che sta producendo il film insieme a Joe
Roth. Kristen dovrà ovviamente ultimare le riprese di Twilight
Saga: Breaking Dawn, per cui il progetto su Biancaneve potrebbe
partire in Agosto, in diretta competizione con The Brothers Grimm:
Snow White che vedrà la Relativity Media in produzione e Julia
Roberts nei panni della strega cattiva.
Kenneth Branagh, a
maggio nei cinema americani con il suo Thor, sta pianificando i
suoi prossimi impegni alla regia. La Weinstein Company gli ha
infatti affidato la regia di un nuovo film basato sul libro
The
Boys in the Boat.