Black Mirror 6, la recensione della serie Netflix

Dal 15 giugno su Netflix, la nuova stagione porta avanti il percorso di allontanamento dalle peculiarità e dagli obiettivi originari della serie.

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A cinque anni dalla quinta stagione (qui la recensione), torna su Netflix uno dei titoli di punta della piattaforma streaming, ovvero Black Mirror. La serie ideata da Charlie Brooker dove, con uno sguardo cinico e pessimista, si propongono scenari distopici e futuristici che richiamano tuttavia realtà già ampiamente radicate nel nostro presente. O meglio, così è stato fino alla quarta stagione, perché a partire dalla quinta la capacità di anticipare i tempi e mostrare con lucidità il distorto riflesso dato dagli “specchi neri”, sembra essersi esaurita. Questa sesta stagione, composta da cinque nuovi episodi, è un ulteriore triste conferma di ciò.

 

Black Mirror 6, la trama dei nuovi episodi

Cinque nuovi episodi, cinque nuove storie che hanno come obiettivo quello di mostrare quanto possa essere orripilante l’essere umano quando si specchia nello schermo nero dei propri dispositivi tecnologici (e in generale nel suo rapporto con la tecnologia o con i media). Ecco allora che in Joan è terribile una donna scopre suo malgrado che una nota piattaforma streaming sta realizzando una serie basata sulla sua vita. In Lock Henry, invece, una coppia di documentaristi scopre un’intrigante storia collegata a scioccanti eventi del passato, finendo però con lo spingersi troppo in là con la ricerca dello scoop.

C’è poi l’episodio fantascientifico dal titolo Beyond The Sea, interpretato da Aaron Paul e ambientato in un 1969 alternativo, dove due astronauti in una stazione spaziale si trovano a dover gestire le conseguenze di una terribile tragedia sulla terra. Si passa poi agli ultimi due episodi, entrambi con elementi soprannaturali: Mazey Day, dove una tormentata attrice di Hollywood si trova a dover sfuggire a orde di paparazzi mentre affronta le conseguenze di un incidente stradale; e Demone 79, nel quale una timida commessa scopre di dover compiere atti terribili per impedire un disastro imminente.

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Annie Murphy nell’episodio Joan è terribile di Black Mirror.

Black Mirror non riesce più a stare al passo con i tempi

Le prime quattro stagioni di Black Mirror riuscivano a proporre racconti capaci di incutere forti timori in quanto abili ad intercettare i cambiamenti tecnologici in atto nel nostro mondo e immaginare – spesso anticipando ciò che sarebbe poi effettivamente avvenuto – gli effetti collaterali del nostro rapporto con essi. La quarta stagione risale al 2017 e sappiamo quanto il mondo sia cambiato profondamente e rapidamente in questi ultimi anni, spesso proponendo vere e proprie situazioni “alla Black Mirror“, con la realtà che, come al solito, supera la fantasia. È dunque oggettivamente difficile riuscire a stare al passo con i tempi, eppure Brooker accetta la sfida.

Sfortunatamente, la fallisce sotto diversi punti di vista. Nessuno dei cinque nuovi episodi riesce infatti a proporre scenari capaci di raccontare qualcosa di nuovo, che sappia scuotere gli animi. Quando non cerca di offrire sfumature alternative su tematiche già precedentemente affrontate nella serie, Broker finisce con l’offrire storie che si crogiolano su tematiche ormai già “vecchie”. L’esempio più evidente è proprio il primo episodio, Joan è terribile, che pur mantenendosi fedele alla natura delle storie a cui Black Mirror ha abituato il suo pubblico, va a riflettere sull’impatto della piattaforma streaming Streamberry (che non fa nulla per nascondere il suo essere un alter ego di Netflix) nelle vite dei suoi abbonati e dell’intera industria audiovisiva.

C’è di tutto in questo episodio: la questione sui necessari cambiamenti in fase di adattamento; la pericolosità dell’accettare contratti mai veramente letti; fino alle problematiche etiche che la CGI e la tecnica del deepfake comportano. Come si può notare, però, sono tutte questioni su cui si dibatte ormai già da anni e lo stesso ironizzare su Streamberry/Netflix è un qualcosa che poteva far più rumore nel 2017, quando l’azienda iniziò ad affermarsi nella produzione di contenuti originali sfidando i grandi colossi dell’industria. Insomma, non si ricava nulla di nuovo da tale episodio e di conseguenza non si avverte alcun brivido lungo la schiena tale da farci rivalutare il nostro rapporto con tali tecnologie.

Una sesta stagione che non ha nulla di nuovo da dire

Per quanto riguarda gli altri episodi, Lock Henry vuole essere una riflessione sulla popolarità di cui godono oggi i docu-crime (un trend che Netflix ha aiutato a costruire e a consolidare nel tempo), proponendo però interrogativi circa l’eticità delle ricerche che si conducono al fine di ottenere una “storia forte”. Anche in questo caso, tuttavia, la riflessione sembra arrivare in ritardo sui tempi. Maizey Day nel suo concentrarsi sull’invasività dei fotoreporter, invece, non aggiunge nulla che non sia già stato detto dal film del 2014 Lo sciacallo – Nightcrawler. E insieme a Demone 79, con i loro elementi sovrannaturali, più che appartenere al mondo di Black Mirror sembrano essere episodi sfuggiti alla serie antologica Guillermo del Toro’s Cabinet of Curiosities

Beyond the Sea è probabilmente l’episodio più riuscito della stagione, merito anche di una durata pari a 80 minuti che ha naturalmente permesso un maggiore sviluppo del racconto e dei suoi personaggi. In essa, come per Joan è terribile, si propone un contesto “tipico” della serie, attraverso il quale riflettere in questo caso sulle difficoltà di stabilire cosa sia vero e cosa falso in un mondo sempre più caratterizzato da intermediari tecnologici, attraverso cui vivere esperienze che altrimenti non si avrebbe modo di fare. Anche qui nulla di nuovo, ma la cornice narrativa rende l’episodio particolarmente intrigante, pur non sfuggendo ad una risoluzione decisamente prevedibile.

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Zazie Beetz nell’episodio Mazey Day di Black Mirror.

Lo stato di salute di Black Mirror

Alla luce di questa nuova stagione, cosa possiamo dedurre dello “stato di salute” di Black Mirror? Sia chiaro, nessuno degli episodi proposti è inguardabile, ma anzi sono tutti realizzati con una certa cura e gusto per la messa in scena, oltre ad essere arricchiti da valide interpretazioni e, talvolta, momenti molto toccanti. Il problema è che nessuno riesce a tenere fede allo scopo originario della serie, che continua dunque a perdere per strada quelli che erano i suoi caratteri identitari. I risvolti soprannaturali degli ultimi due episodi sembrano a tal proposito l’incipit di un’evoluzione che, se verrà portata avanti, chiuderà definitivamente ogni legame con il passato.

Sbrigativamente si potrebbe addossare la colpa di tale “declino” a Netflix, ma la sensazione è che sia in realtà Brooker ad aver perso la voglia di ricercare, anticipare e analizzare le tendenze della società umana. L’ideatore della serie sembra infatti essersi accomodato sulla volontà di intrattenere in modo blando anziché scioccare e scuotere le coscienze. Allo stesso tempo, il “problema” potrebbe essere riconducibile – come già anticipato – al cambiare dei tempi, che nel loro correre così in fretta hanno ormai reso gli schermi neri parte integrante del nostro quotidiano. Black Mirror, dunque, non può che prenderne atto e rivolgere altrove le proprie attenzioni, con buona pace dei fan delle prime stagioni.

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RASSEGNA PANORAMICA
Gianmaria Cataldo
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Gianmaria Cataldo
Laureato in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è un giornalista pubblicista iscritto all'albo dal 2018. Da quello stesso anno è critico cinematografico per Cinefilos.it, frequentando i principali festival cinematografici nazionali e internazionali. Parallelamente al lavoro per il giornale, scrive saggi critici e approfondimenti sul cinema.
black-mirror-6-serie-netflixCon i cinque nuovi episodi che compongono la sesta stagione di Black Mirror si compie dunque un ulteriore passo nella direzione opposta a quelli che erano gli obiettivi originari della serie. Charlie Brooker ci propone infatti episodi assolutamente ben realizzati, ma che si dimostrano incapaci di evidenziare quello stare al passo con i tempi - o addiriturra anticiparli - che era tipico delle prime stagioni della serie. Il risultato è un intrattenimento blando che non scuote né genera significativi spunti di riflessione.